Risorse finanziarie UE e stato di diritto

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Tra le ombre che pesano sulle decisioni del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo che, nella sessione straordinaria dal 17 al 21 luglio scorso, hanno deliberato in merito al “Piano per la ripresa” e al bilancio UE 2021-2027, ve n’è una che in particolare ha sollevato le critiche del Parlamento europeo nella sua sessione del 23 luglio scorso. Nella Risoluzione adottata a larghissima maggioranza, con 465 voti favorevoli, 150 contrari e 67 astensioni, il Parlamento europeo ha elencato le sue priorità in vista di un accordo globale sulle decisioni del Consiglio europeo. Prima tra queste il rispetto dello stato di diritto e delle regole democratiche cui vincolare la destinazione delle risorse comunitarie del bilancio 2021-2027 per il quale il Parlamento può far valere le sue competenze come Autorità di bilancio insieme con il Consiglio.

Si tratta di un problema molto sensibile e da tempo in attesa di una soluzione, diventato particolarmente acuto in una fase storica in cui l’UE è minacciata nei suoi valori fondativi da movimenti nazional-populisti che, in nome di una pretesa sovranità nazionale, infrangono le regole democratiche, come nel caso del non rispetto della libertà di espressione e dell’indipendenza della magistratura. 

Sotto i riflettori a questo proposito sono da tempo la Polonia e l’Ungheria, nei confronti delle quali è in corso una procedura di infrazione ad iniziativa della Commissione e in attesa di un pronunciamento da parte del Consiglio. Nella configurazione attuale dei Trattati il nodo è difficile da sciogliere perché la decisione finale sul Paese in infrazione dovrebbe essere presa all’unanimità, esito impedito per l’Ungheria dal voto contrario della Polonia e per la Polonia dall’analoga risposta “complice” dell’Ungheria. Questo spiega perché il Parlamento nella sua Risoluzione  critica il Consiglio europeo, responsabile di “aver considerevolmente indebolito gli sforzi della Commissione e del Parlamento che puntano a garantire il rispetto dello stato di diritto, dei diritti fondamentali e della democrazia nel quadro del Quadro finanziario pluriennale e dello strumento della “Next Generation UE”, insiste nel chiedere che vengano modificate le procedure con il ricorso al voto a maggioranza qualificata e annuncia che il nuovo “regolamento relativo allo stato di diritto sarà adottato per codecisione”, cioè con un voto vincolante del Parlamento europeo.

Non sembri astratta e poco importante questa priorità che il Parlamento premette a un accordo finale con il Consiglio europeo: si tratta invece di una situazione anche troppo concreta e di bruciante attualità dopo quello che è avvenuto, ancora dopo il Consiglio europeo, in Ungheria dove è stato licenziato il direttore del quotidiano on line Index.hu, con una chiara ingerenza del partito di Viktor Orban. Un intervento, e non il primo contro la libertà di espressione, che ha provocato le dimissioni di 70 giornalisti del quotidiano e fatto scendere in strada migliaia di dimostranti per impedire che Index.hu sia chiuso e con esso messa a tacere una delle ultime voci libere, minacciate dalla “democrazia illiberale” di Viktor Orban.

Sullo stesso versante di non rispetto dei diritti fondamentali, per non essere da meno, si colloca la decisione del governo polacco di avviare il processo per la disdetta della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, giudicata dal ministro della Giustizia ispirata a “concetti ideologici” non condivisibili. 

Un ulteriore campanello d’allarme che dovrebbe risuonare forte alle orecchie dei Capi di Stato e di governo e che il Parlamento non mancherà di ricordargli al momento di deliberare la destinazione delle risorse europee di cui Ungheria e Polonia hanno finora abbondantemente beneficiato.  

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