Olanda recidiva contro l’UE

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E ci risiamo. Era il 2005 quando, a pochi giorni dal “no” francese al progetto di Costituzione europea, gli olandesi andarono alle urne per un referendum con lo stesso quesito e diedero la stessa risposta negativa. Adesso qualcuno teme che la situazione si inverta: dopo il “no” olandese al referendum che, il 6 aprile, li interpellava a proposito dell’accordo di associazione tra l’Unione Europea e l’Ucraina, sorge spontanea la domanda se questo risultato non rischi di contribuire a trascinarsi dietro un analogo “no” inglese, fra due mesi, alla permanenza della Gran Bretagna nell’UE.

Non è il caso di rispondere a questa domanda precipitosamente. Non è politicamente comparabile il recente quesito sottoposto a referendum in Olanda con quello che verrà posto ai cittadini inglesi, anche se nella campagna elettorale olandese era stato dichiarato l’obiettivo, da parte degli euroscettici sostenitori del “no”, di spingere l’Olanda fuori dall’UE.

E tuttavia non rassicura la scarsa partecipazione al referendum olandese, al quale bastava un “quorum” del 30% per rendere valido l’esito del voto: è bastato raggiungere la soglia del 32% per dare voce al 61,1% contrario all’accordo europeo. Il segnale arrivato dall’Olanda va ad aggiungersi ai molti che arrivano, sempre da una destra populista e xenofoba, contro l’attuale politica europea e le sue deboli istituzioni: dalla Polonia all’Ungheria, dai Paesi scandinavi alla Germania nelle recenti elezioni regionali e dal crescente consenso che incassa il “Front national” di Marie Le Pen in Francia, la cui esultazione per il risultato olandese non ha tardato a farsi sentire.

Nel merito del quesito referendario olandese le immediate conseguenze non sono tali da sconvolgere le politiche europee sul tema. L’accordo di associazione UE-Ucraina è già stato approvato dai Parlamenti degli altri 27 Paesi e dal Parlamento europeo ed è già “provvisoriamente” in vigore. Se la vedranno il governo e il Parlamento olandesi come venirsene fuori, magari con qualche trovata giuridica che alleggerisca gli impegni olandesi nel quadro dell’accordo.

Spetterà anche alle forze politiche olandesi spiegare meglio, a quel quasi 70% di elettori che si sono astenuti, il carattere strumentale dei sostenitori del “no” al referendum e le  contraddizioni per un Paese, a forte dominante liberale, che viene in soccorso a Putin e a quella Russia implicata, anche se indirettamente, nel luglio del 2014, nell’abbattimento con un missile del volo MH17 nel quale persero la vita 190 passeggeri di nazionalità olandese.

Resta da sperare che tra il popolo d’Olanda, uno dei sei Paesi fondatori della prima Comunità europea a inizio degli anni ’50, prevalga la saggezza e la consapevolezza delle responsabilità che assumerebbero, in un momento storico per tanti aspetti drammatico, se contribuissero a mettere in crisi all’avventura europea e a contribuire ad una pericolosa disgregazione del continente. Certo lascia perplessi che l’esito del referendum abbia coinciso con il semestre di presidenza olandese: se questi sono i leader che guidano questa Unione Europea non stupisce che vada a sbattere alla prossima curva, quella inglese per esempio, dopo averne superate tante altre nella sua storia. Ma c’erano altri leader allora e, forse, anche cittadini più avveduti e con la memoria viva delle tragedie europee del passato.

 

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