Obama e le linee rosse che attraversano il Medio Oriente

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Si è conclusa la visita di Barack Obama in Israele e Palestina, lasciando dietro di sé una certezza e molti interrogativi.

La certezza è che le relazioni fra Israele e Stati Uniti si sono calorosamente rinsaldate, quasi in un patto eterno, mostrando al mondo intero il legame fra la più grande potenza mondiale e la più grande potenza regionale in Medio Oriente. Una certezza che va senz’altro coniugata alla luce della situazione nella regione e cioè il processo di pace israelo-palestinese, la sfida nucleare dell’Iran e la guerra in Siria. Tre elementi di grande instabilità che stanno ridisegnando una nuova geopolitica da dopo guerra fredda nella regione e oltre i suoi confini.

Per quanto riguarda gli interrogativi, l’atmosfera dell’incontro, tutta tesa verso la dissipazione di eventuali punti di disaccordo, non era certamente propizia ad una presa di posizione chiara e irrinunciabile per quanto riguarda il futuro del processo di pace israelo-palestinese. Dedicate poche ore all’incontro con Abou Mazen e i Palestinesi, la posizione del Presidente Obama al riguardo è stata quella di ribadire che l’obiettivo  a termine di due Stati rimaneva sempre sul tavolo, invitando le parti  a superare l’ostacolo della colonizzazione per poter puntare a tale obiettivo e per ravvivare negoziati che sono ad un punto morto dal 2010. Parole che hanno avuto un sapore amaro e dietro le quali suonava il vuoto di mancate e concrete proposte, soprattutto in un momento in cui il nuovo Governo del premier israeliano Netanyahu, insediatosi alla vigilia della visita del Presidente Obama, ha tante priorità in tema di sicurezza, salvo quella di concedere spazi alla rinascita di un dialogo e di fermare gli insediamenti dei coloni in Cisgiordania.

Il tema della sicurezza, che fa sempre da sfondo alla politica interna ed esterna di Israele, ha messo al centro dei dibattiti ovviamente anche il programma nucleare dell’Iran, considerato ormai da Israele come molto vicino a quella famosa linea rossa oltre la quale non ci sarebbe più stato spazio né per la diplomazia né per le sanzioni economiche. La prospettiva, a breve, di un intervento preventivo militare israeliano per distruggere la capacità produttiva nucleare iraniana, cosa che non può che creare forti inquietudini, sembra ora allontanarsi un po’,  e come ha sottolineato il Presidente Obama “forse di un anno, il tempo necessario a Teheran di costruire effettivamente la bomba atomica…”.  Ed ecco l’accordo: uno spostamento della linea rossa nel tempo per dare le ultime chances alla diplomazia e poi Israele avrà il sacrosanto diritto di autodifendersi. Magari con le conseguenze di una pericolosa crisi che andrebbe oltre le frontiere regionali e nella quale, è legittimo pensarlo, verrebbero coinvolti anche gli Stati Uniti.

Le convergenze di vedute e la cooperazione in materia di sicurezza si sono concretizzate anche per quanto riguarda la guerra in Siria, dove la linea rossa è rappresentata dall’uso delle armi chimiche da parte di Bachar al Assad, cosa che, a detta del Presidente Obama, “cambierebbe le regole del gioco”. Una guerra che ormai dura da due anni  sotto gli occhi impotenti della comunità internazionale, ma che si svolge tra il sostegno dell’Iran e della Russia al regime siriano  e i tentativi ora di Francia e Regno Unito di convincere l’Europa a fornire armi ai ribelli. Senza dimenticare tutte le vittime di questa guerra e le migliaia di rifugiati nei Paesi limitrofi.

Ed infine, in questa regione dove ormai tutto si intreccia e dove gli equilibri geopolitici e geostrategici sono sempre più precari, dove sono in corso transizioni politiche non scontate e dove si incrociano enormi interessi economici ed energetici, la missione di Obama si è conclusa con un invito ad Israele, accolto senza batter ciglio, a ristabilire  rapporti con la Turchia, interrotti dall’assalto israeliano alla nave turca Mavi Marmara che nel maggio 2010 aveva tentato di forzare il blocco israeliano di Gaza e aveva fatto nove vittime.

La diplomazia americana aveva preannunciato una visita del Presidente Obama che doveva essere essenzialmente di “ascolto”. Lo è senz’altro stata, ma ha anche acceso i riflettori su certezze e interrogativi in una regione dove la presenza degli Stati Uniti  è sempre  stata di grande rilievo.

1 COMMENTO

  1. Mi sembra di avvertire messaggi più di guerra che di pace. L’appoggio ai ribelli in Siria, che sono sponsorizzati dagli emiri e fiancheggiati da A Quaeda, mi sembra in contraddizione con la politica militare in Mali. Forse si sta preparando una documentazione sull’uso delle armi chimiche come quando si preparava la guerra all’Iraq?

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