Nuove figure istituzionali UE: chi ha vinto e chi ha perso

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Al gioco poco allegro di chi ha vinto e chi ha perso nelle designazioni del Consiglio Europeo in merito alle nuove figure del presidente stabile del Consiglio UE e del ministro degli Esteri i conti sono presto fatti: tra i perdenti l’on. D’Alema, l’Italia e l’Europa; tra i vincenti la Germania, il Regno Unito e il passato.
Cominciamo dai perdenti, partendo dalle perdite minori. Non ce l’ha fatta l’on. D’Alema che aveva dalla sua un’esperienza di governo di tutto rispetto (era stato presidente del Consiglio italiano e ministro degli Esteri), il sostegno fragile del Partito socialista europeo e, forse, quello del governo italiano. Il «forse» ci sta tutto per l’opacità   degli intrighi della «provincia» Italia e per le ambizioni nutrite nella nomenclatura italiana da quanti mirano a future poltrone europee: dal pallido Tajani, avvinghiato alla sua modesta poltrona di commissario, a Tremonti l’economista ex-liberista, che non si sottrarrebbe alla guida dell’Eurogruppo, fino a Draghi possibile candidato nel 2011 per la Presidenza della Banca Centrale Europea (posto che fa comprensibilmente gola alla Germania) e per il fondato dubbio che il governo italiano non fosse troppo rassicurato dalla presenza di un leader dell’opposizione su quella poltrona.
Poco male per l’on. D’Alema di cui si conoscono le capacità   di rimbalzo nella politica italiana, come bene sanno i suoi colleghi che, per motivi diversi, ne sponsorizzavano la fuoriuscita a Bruxelles.
Più grave la perdita per l’Italia, anche se non sorprendente: per una decisione come questa il governo italiano non fa peso, zavorrato com’è dal suo presidente del Consiglio e da una persistente immagine di non affidabilità  , in particolare in materia di politica estera. Il treno del ministro degli Esteri ripasserà   solo fra cinque anni e c’è da sperare che allora ci sia in Europa – sempre che ci sia ancora – un’Italia più credibile e con una classe politica più apprezzata dell’attuale. Resta il fatto che per un Paese fondatore dell’UE i posti che contano sono davvero pochi, non solo in Europa ma anche nelle altre Istituzioni internazionali.
Ma più di tutte è drammatica la perdita per l’Europa che si affida, per le due nuove figure istituzionali, a profili modesti che vanno a tenere compagnia ad un collega di equivalente valore, quel Barroso che in cinque anni di presidenza della Commissione Europea ha lasciato deperire un’Istituzione decisiva per il futuro dell’integrazione europea e che, adesso, per altri cinque anni galleggerà   nella mediocrità  .
Se non è senza interesse la designazione del belga Van Rompuy come presidente stabile del Consiglio Europeo, grazie anche alle sue capacità   di mediatore e alla sua provenienza da un piccolo Paese, tutt’altro discorso va fatto per la baronessa socialista (sic) inglese Ashton come ministro degli Esteri. E non perchà© donna – sarebbe infatti mortificante se questo fosse il suo principale titolo di merito – ma perchà© con scarsa esperienza in materia di politica estera e proveniente da un Paese che non vuole una politica estera comune e che, quando vi si affaccia, tende tradizionalmente a guardare al di là   dell’Atlantico piuttosto che al di qua della Manica.
Probabilmente ha ancora ragione il vecchio Pindaro quando diceva che «gli dei accecano coloro che vogliono perdere», anche se per il momento i ciechi pensano di sedere tra i vincenti.
Di questi è presto detto: la Germania, che insieme alla Francia – un asse non più motore dell’UE dei Padri fondatori – ha evitato figure istituzionali troppo ingombranti garantendosi una leadership europea almeno a breve; il Regno Unito che, benchà© fuori dall’euro, ha imposto una sua bandiera per quanto scialba e il «passato», grande vincitore in questa Europa incapace di riprogettare il proprio futuro e di contrastare la deriva che la rende sempre più ininfluente nel mondo.
Altro ci sarebbe ancora da dire sulla disinvoltura erratica dei governi socialisti europei e del Partito socialista europeo al quale questi si riferiscono e alla loro comune mancanza di visione per il futuro dell’UE.
Le designazioni «modeste» di Bruxelles, per una volta, hanno fatto l’unanimità   anche tra i più autorevoli commentatori politici europei: una unanimità   contro una decisione che ha tracciato per anni la traiettoria della futura irrilevanza dell’Europa.
E tuttavia, alla fine, qualcosa di positivo c’è stato, anche se non molto: la decisione è intervenuta in tempo per non ritardare l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, da quelle poltrone è stato allontanata la figura dell’improponibile – politicamente e moralmente – Tony Blair e un contributo non indifferente è stato dato ai cittadini europei per capire, senza esitazioni possibili, quale Europa ci stanno confezionando a Bruxelles, lontana anni luce da un’Unione coesa e solidale, capace di pesare nel futuro di questo mondo che si è lasciato alle spalle il G8, farà   poco conto del G20 e finirà   per dipendere dal neonato G2. USA e Cina ringraziano.
Molto meno ringraziano quei cittadini europei – e non solo – che speravano in un’Europa protagonista, capace di rilanciare quella che fu la più straordinaria avventura politica del secolo scorso.
Nell’attesa che i nostri responsabili politici rinsaviscano, adesso tocca a quei cittadini ridare vita ad un sogno, rilanciando un progetto di cui questo continente – e non solo – ha bisogno per salvaguardare la pace e promuovere i diritti. Il Trattato di Lisbona che entra in vigore il 1° dicembre qualche strumento nuovo lo offre: sarà   bene attivarlo prima che sia troppo tardi.

1 COMMENTO

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    Condivido appieno, purtroppo, quanto tu scrivi, Franco. Siccome sono tra quelli che ancora sognano un’Europa unita, ti chiedo che cosa possiamo fare noi cittadini per non lasciar cadere questo splendido progetto.

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