Ma di che razza sono questi razzisti?

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“Andare CONTROMANO è rischioso, ma si vede la gente in faccia”

Premesso che la domanda è più importante della risposta e che, anche in assenza di questa, la domanda resta viva e ci aiuta a restare umani, non possiamo non domandarci di che razza sono questi razzisti di casa nostra, da quali tane e fogne escano e quando vi rientreranno. Visto che di razza c’è n’è una sola, quella umana, non c’è scampo: questi razzisti sono dei nostri, vivono a fianco di noi, ci salutano cortesi, qualcuno va anche a messa la domenica, magari ha una badante o una colf straniera in casa. Che i razzisti siano tra noi è un’evidenza che può negare solo il ministro dell’Interno, al quale bisognerebbe ricordare che il seme del razzismo è anche una sua responsabilità perché alligna all’interno di noi, basta coltivarlo con la paura e l’esasperazione perché germogli e produca con abbondanza i suoi frutti avvelenati. Il razzismo è anche una malattia difficile da eliminare, come la peste raccontata da Camus, metafora di un male interiore che quando credi di averlo debellato riappare. Lo sapeva bene il protagonista de La peste, il dottor Rieux, che dopo averla combattuta e apparentemente vinta, non si fa illusioni: prima o poi i topi usciranno di nuovo dalle loro tane ad annunciare che la peste tornerà a uccidere.

Per Camus quella peste era la dittatura e il fascismo.

Meditate gente, meditate.

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