Libia tra incertezze politiche e migranti

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Si parla molto della Libia e delle sue responsabilità nella questione dei migranti e dei rifugiati che partono dalle sue coste per attraversare il Mediterraneo e giungere, se tutto va bene, sulle spiagge dell’Italia. Un’ enorme sfida lanciata al nostro Paese e a un’Europa che, divisa e incapace di reagire adeguatamente, chiude pericolosamente gli occhi di fronte ad una necessaria solidarietà interna.

Poco si parla tuttavia della situazione politica della Libia, delle sue lotte e delle sue lacerazioni interne, della sua instabilità e di conseguenza, delle difficoltà a dialogare con legittime e riconosciute Istituzioni.

Prendendo spunto dall’attualità e dalla “liberazione” di Bengasi, il 5 luglio, da parte di Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico e capo de facto del Governo di Tobruk, nella Libia orientale, appare interessante considerare l’evoluzione politica in corso e le possibile prospettive di stabilità del Paese.

Dopo l’intervento militare unilaterale di Francia e Regno Unito, seguito da quello della NATO, che hanno provocato la caduta di Gheddafi nell’ottobre 2011, la Libia è precipitata in un grande caos e instabilità, con la nascita di due Governi rivali, ancor oggi in lotta tra loro per il controllo del Paese, dei pozzi petroliferi e dei giacimenti di gas. Da una parte, ad ovest, un Governo di unità nazionale a Tripoli, guidato dal premier Fayez Al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e dall’ONU, ma considerato illegittimo dalla maggioranza della popolazione libica. Dall’altra, ad est, il Governo di Tobruk, in Cirenaica, sotto controllo militare del generale Haftar che non riconosce il Governo di Tripoli ma gode del sostegno dell’Egitto, degli Emirati arabi e, soprattutto, della Russia. Nel frattempo, nello spazio lasciato libero dal crollo del regime di Gheddafi si sono inseriti milizie e bande armate nonché gruppi radicali islamisti legati all’ISIS.

La liberazione di Bengasi, la seconda città del Paese, si inserisce nella guerra che il Generale Haftar sta conducendo da tre anni a questa parte soprattutto contro i jihadisti. E’ una vittoria e un successso che rafforzano significativamente il peso politico del Generale, le cui forze armate erano riuscite, negli ultimi mesi, a prendere il controllo anche di alcuni territori nella Libia orientale e meridionale, nonché dei quattro principali terminal petroliferi orientali, da cui viene esportata la maggior parte del greggio libico.

Appare quindi assai chiaramente un nuovo scenario politico in Libia, molto complesso, in cui il Generale Haftar potrà giocare, da protagonista sempre più influente, carte più importanti e pesanti al tavolo dei negoziati per un Governo di unità nazionale e di stabilizzazione della Libia. Una situazione ancora molto incerta, ma con la quale dovrà fare i conti anche la comunità internazionale, soprattutto alla luce dei vari interessi internazionali e regionali che si giocano sullo scacchiere libico, dalla Russia agli Stati Uniti, dall’Egitto alla Turchia.

Fra le preoccupazioni internazionali più difficili da affrontare, la stabilizzazione politica della Libia è una condizione imprescindibile per la gestione e il controllo dei flussi migratori e della lotta ai trafficanti di esseri umani. Al riguardo, Haftar ha già fatto valere il proprio peso politico, in particolare quando si è trattato di esprimere il dissenso di tutta una parte della Libia sul Memorandum d’intesa sui migranti firmato tra Italia e il Governo di Tripoli nel febbraio di quest’anno.

Un Memorandum, non va dimenticato, sostenuto, forse con troppa ingenuità politica, anche dall’Unione Europea, che lo ha considerato come un modello da seguire per un accordo con la Libia.

1 COMMENTO

  1. l’accordo Italia/Libia(governo di Tripoli) per contrastare l’emigrazione verso l’Europa, con l’obiettivo di colpire i mercanti di uomini mi ha sempre lasciata molto perplessa perché sottoscritto con governi non attendibili, in un paese fortemente diviso al suo interno. Non è un buon motivo quello di scaricare su spalle altrui grosse responsabilità. Del resto le testimonianze dei reduci dalla Libia non lasciano spazio a incertezze in proposito

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