Le occasioni perdute dell’Unione Europea

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Che l’Unione Europea viva una crisi particolarmente acuta difficile negarlo. E consola poco che non sia la prima, anche perché l’ampiezza di quella attuale non ha precedenti nei quasi settant’anni di vita della Comunità europea.

Può invece aiutare a capire come ci siamo arrivati e intravedere come uscirne, ripercorrere rapidamente la strada lungo la quale ci siamo arrivati.

Una chiave di lettura, certo non la sola, può essere quella delle “occasioni mancate” per progredire sul cammino in salita – e che salita! – dell’integrazione comunitaria, nel difficile passaggio dalle sovranità nazionali alla sovranità europea.

Proviamo a farlo individuando alcune date particolarmente sensibili.

1954: pochi anni dopo la nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), stimolati dalla sua riuscita, i Padri fondatori tentarono un balzo verso una Comunità con forti ambizioni politiche, quella della difesa. Sarebbe stata una svolta decisiva, forse possibile ai sei Paesi fondatori, verso l’Unione politica. Purtroppo i tempi non erano maturi, troppo vivo ancora il ricordo del massacro della Seconda guerra mondiale e troppo guardinghe e sospettose le sovranità nazionali: quella francese in particolare che, con il voto contrario all’Assemblea nazionale, affondò il progetto. Da allora sono passati oltre sessant’anni e il tema della difesa comune è rimasto tabù in un mondo diventato sempre più pericoloso.

1989: il crollo del Muro di Berlino, seguito dall’unificazione tedesca nel 1990 e dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, offriva alla allora Comunità europea, ancora a 12, l’occasione per ripensare con maggiori ambizioni il progetto di unificazione continentale, investendo i “dividendi della pace” nella costruzione di una “casa comune” a forte dominante politica. La risposta mancò di coraggio: tutto quello che si riuscì a fare, non senza difficoltà, fu il Trattato di Maastricht per dare una base alla futura moneta unica, senza accompagnarla però con una politica economica comune, ingessandola invece dentro parametri che avrebbero dovuto proteggerla, ma facendo correre ai Paesi in crisi il rischio di essere strangolati da ossessive politiche di austerità. Quello che accadde negli anni successivi non avrebbe aiutato a recuperare l’occasione perduta: gli anni ’90 furono segnati dalle guerre nella ex-Jugoslavia, il nuovo secolo si aprì con l’attentato alle Torri gemelle a New York.

2005: i primi anni del Duemila sembravano aver risvegliato l’UE dal suo dormiveglia, grazie anche alla prima circolazione dell’euro e all’iniziativa destinata a dare all’Unione una Costituzione. Vi lavorò un’Assemblea a più voci, che ne adottò un progetto, siglato dai Capi di Stato e di governo a Roma nel 2004. Sembrava fatta, ma ancora una volta prevalse il mito della sovranità nazionale e fu di nuovo la Francia, seguita a ruota dall’Olanda, con un referendum popolare a fare mancare l’occasione di una forte svolta verso l’Unione politica. E anche qui il seguito non avrebbe aiutato: la crisi finanziaria, poi economica e sociale, importata nel 2008 dagli USA e durata una decina di anni, ridusse ulteriormente le già deboli dinamiche di solidarietà interne all’UE, spingendo la Grecia sull’orlo del baratro, rompendo la coesione tra il sud e il centro-nord dell’Europa e rafforzando l’egemonia economica e politica della Germania.

2016: è l’anno dell’azzardato referendum britannico che ci ha regalato Brexit, un esito che colse di sorpresa non solo il Continente, ma più ancora l’isola di Sua Maestà. Un referendum che finì per sconvolgere più il Regno Unito che l’UE, miracolosamente compatta ad oggi nel negoziare un divorzio senza concessioni. Era – e resta – l’occasione per rivisitare i valori fondativi delle prime Comunità europee, adattarle ai grandi cambiamenti intervenuti nel mondo, arginare le derive populiste al di qua e al di là dell’Atlantico e rifondare la democrazia europea con chi quei valori condivide, lasciando fuori – magari provvisoriamente – quanti da quei valori stanno prendendo le distanze, con il rischio di incendiare la casa comune e farla tornare ai conflitti del passato.

Brexit resta ancora una buona occasione per l’UE, in particolare in questa vigilia di competizione elettorale europea, quando toccherà ai cittadini dire quale Unione vogliono, quali rischi sono disposti a correre, loro, e far correre alle future generazioni.   

1 COMMENTO

  1. La circolazione della moneta unica prima di una Costituzione, prima di un esercito europeo, prima di avere una lingua comune (ci sarebbe l’inglese, ma l’isola di sua maestà ci vuole abbandonare, che senso avrebbe continuare a comunicare con la lingua di chi teme l’Unione Europea?) non ha funzionato.
    La crisi della Grecia ci ha destabilizzato e il vento del sovranismo soffia fortissimo… Come se ne esce?

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