L’altra faccia dell’Unione Europea

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In questa campagna elettorale condotta “a spese” dell’Unione Europea, trattata da capro espiatorio utile per occultare le responsabilità dei suoi Paesi membri, era normale che il volto dell’UE venisse sfigurato e fosse in ombra l’altra faccia della medaglia che rendesse giustizia alle molte cose fatte in questi anni.

È importante ricordarlo a cent’anni dall’inizio della prima guerra mondiale – non a caso chiamata anche “Guerra europea” – e a 75 anni dall’inizio della seconda, se non altro per registrare che presto festeggeremo i nostri primi settant’anni di pace in Europa. Un record per questo continente, segnato per secoli da frequenti conflitti e massacri, al quale ha contribuito non poco l’avventura dell’integrazione europea iniziata nel 1951 quando sei Paesi – e tra questi l’Italia – decisero di creare la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, mettendo in comune le materie prime della guerra.

Da allora molta strada è stata fatta e molti risultati importanti sono stati raggiunti. Da quel primo nucleo di Paesi fondatori si è sviluppata un’Unione Europea che raccoglie 28 Stati, forte di mezzo miliardo di abitanti (più di USA e Russia sommati), una potenza economica e commerciale ancora prima al mondo nonostante la tempesta della crisi, soprattutto un presidio del diritto e della democrazia in un mondo in preda a preoccupanti convulsioni autoritarie.

Non sono certo senza fondamento le preoccupazioni a proposito della salute delle nostre democrazie nazionali, ammalate di pulsioni populiste, e la democrazia europea con le sue istituzioni ormai inadeguate. E tuttavia non va dimenticato che l’Europa, unico esempio nella storia, sta sperimentando un’inedita “democrazia tra le nazioni”, in un continente dove la democrazia aveva preso forma solo nella dimensione nazionale, senza metterci al riparo da quelle tentazioni nazionaliste, oggi di ritorno, che nel passato avevano periodicamente distrutto l’Europa.

Per prevenire questi rischi l’UE si è dotata di un assetto istituzionale che salvaguardasse gli interessi nazionali, ma dentro un progetto in grado di promuovere l’interesse comune europeo, facendo leva su un Parlamento europeo il cui ruolo e potere sono cresciuti negli anni e che, con le prossime elezioni, punta a condizionare la scelta del futuro presidente della Commissione, il capo dell’Esecutivo europeo.

Sarà il futuro Parlamento, in dialogo con le altre Istituzioni UE, a dovere riorientare il progetto di integrazione europea, forzando i tempi del passaggio dall’unione bancaria, in corso di completamento, verso un’unione economica che approdi, con chi ci sta – ed è importante che l’Italia ci sia, come nel 1951 – a quell’Unione politica sognata dai Padri fondatori, ma da realizzare ora in condizioni molto diverse e non meno difficili di allora.

Intanto questa campagna elettorale, a base di slogan sull’euro e di insulti non proprio civili, sta oscurando un altro importante anniversario: dieci anni fa dieci nuovi Paesi entravano a fare parte dell’UE, molti in provenienza dalla dissolta – almeno allora credevamo – Unione Sovietica. Un ingresso massiccio e non senza problemi, ma che oggi sta dando buona prova di crescita della democrazia, di riuscita economica – per loro e per noi – e maggiore sicurezza alle nostre frontiere.

Faremmo bene a riflettere, in questi tempi di espansionismo russo come dimostra la vicenda dell’Ucraina, come si vivrebbe nei Paesi baltici, in Polonia e dintorni, senza quell’allargamento allora tanto criticato.

Anche questo è l’Unione Europea, l’altra faccia della caricatura che ne fanno comici deliranti e secessionisti fuori dalla storia.

2 COMMENTI

  1. Niente da aggiungere, l’analisi di fondo è, corretta e condivisible. Ci sono tanti dubbi ed amarezze sull’impianto dell’Unione, in particolare a proposito di una reale politica europea, laddove gli stati-ritornando ad un nazionalismo che innesto’la tragedia della I guerra mondiale ed oggi quella dell’Ucraina. Insomma una situazione complessa, di lettura difficile, ma che, proprio per questo, ci richiama ad esercitare responsabilmente la nostra partecipazione democratica domenica prossima.

  2. Ho ricordato per anni ai miei studenti “i costi della non Europa”. Oggi molti soffrono anche per i costi di questa Europa, che davvero, così com’è, funziona male. Non si deve però speculare su queste sofferenze, cercando di sradicare dalla nostra cultura ciò che riconosceva B. Croce, fin dal 1932: “In ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che or settant’anni un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del Regno subalpino si fecero italiani, non rinnegando l’essere loro anteriore, ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così tedeschi, francesi e italiani s’innalzeranno a europei e i loro pensieri s’indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei, come prima per le patrie più piccole, non dimenticate ma meglio amate” (Storia d’Europa nel secolo XIX, Laterza, Bari 1932, pp. 432-436). Purtroppo oggi molti dimenticano che cos’erano le piccole patrie, con le loro angustie, e le amano peggio; per questo, invece d’innalzarsi a europei, si abbassano, con antistorico “cupio dissolvi”, a sudditi degli otto staterelli da cui è partito il processo del Risorgimento.

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