La nuova via della seta verso l’Europa

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Siamo ben lontani da quel favoloso viaggio descritto da Marco Polo nel suo “Il Milione” che lo ha portato da Venezia in Cina, intorno al 1270, attraverso la via della seta. Il suo libro parla “di civiltà sconosciute dai tesori favolosi, ricche di prodotti ricercatissimi dai mercanti occidentali”.

Oggi, a tanta distanza di tempo, sta nascendo una  “nuova via della seta”, la Belt and Road Initiative (BRI), lanciata nel 2013 dal Presidente Xi Jinping e che ha come primo obiettivo quello di sviluppare il potenziale commerciale della Cina attraverso il collegamento, sia per mare che per terra, al Medio Oriente, all’Africa e all’Europa. Un obiettivo imponente che presuppone la realizzazione di ingenti infrastrutture logistiche e di trasporto nonché investimenti finanziari notevoli.

E’ un progetto che si è dato come scadenza di realizzazione il 2049, anno in cui verranno celebrati i 100 anni della Repubblica popolare e che, per segnare il suo carattere indiscutibile e a lungo termine è stato inserito nella Carta fondamentale della Cina.

Avvolto da poca comunicazione e tanta discrezione, il progetto, al di là della sua faraonica portata in termini infrastrutturali, ha soprattutto una valenza geopolitica e geoeconomica di primaria importanza. In primo luogo punta a portare la Cina, fra pochi anni, a diventare la prima potenza mondiale, e a riorientare verso  l’Asia, a più lunga scadenza, il centro economico del mondo.

Le rotte tracciate o previste hanno infatti l’obiettivo di creare interconnessioni sul piano economico, dei trasporti, delle comunicazioni, al centro delle quali sarà la forza della Cina ad orientare sviluppi e regole di un nuovo ordine mondiale. Le cifre in proposito parlano chiaro sullo sviluppo dell’economia cinese : nel 2050, la Cina rappresenterà il 20% della ricchezza mondiale, contro il 12% degli Stati Uniti e il 9% dell’Unione Europea. Non solo, ma è probabile che diventi anche la prima potenza tecnologica del Pianeta, senza contare gli enormi investimenti militari per lo sviluppo della Difesa.

Il progetto sembra tuttavia prevedere sviluppi che non si limiteranno soltanto alle infrastrutture per il commercio, ma comprenderebbe anche la costruzione di oleodotti, gasdotti, centrali nucleari o elettriche. Un vasto programma che attraverserà gran parte delle rotte del Pianeta, come sembra dimostrare l’evidente interesse anche nei confronti dell’America Latina.

E’ in questo contesto, già in moto e con notevoli sviluppi in prospettiva, che la Cina fa essenzialmente paura a molti. E’ qui che si annidano, ad esempio, le tensioni che si stanno consumando fra Cina e Stati Uniti, determinati questi ultimi a difendere e mantenere il loro ruolo nella leadership mondiale.  Per varie e altre ragioni è anche in questo contesto che nascono le inquietudini e le reticenze dell’Unione Europea nei confronti del progetto cinese. L’Europa è una destinazione naturale della Belt and Road e tre Paesi periferici dell’UE, hanno già aderito all’iniziativa di Pechino : Grecia, Ungheria e Portogallo. Le reticenze dell’Europa sono soprattutto legate alle particolarità del modello di sviluppo cinese, fortemente in contrasto con i principi di trasparenza, di concorrenza e di standard sociali europei. Sono preoccupazioni che si aggiungono a quelle relative alla protezione e alla sicurezza degli interessi strategici europei,  ma anche a quelle relative ai rapporti presenti e futuri con gli Stati Uniti. Una prospettiva che, prima o poi, l’Europa, nel suo insieme e non in ordine sparso, dovrà inevitabilmente affrontare.

La prospettiva di un’adesione dell’Italia al progetto cinese, oggi all’ordine del giorno, solleva molteplici  interrogativi al riguardo. Si tratterebbe in effetti di un’adesione su base di un accordo bilaterale, in una situazione di particolare debolezza economica e politica dell’Italia, che è anche Paese fondatore dell’Unione Europea e membro del G7.

Per la Cina si tratterebbe, in primo luogo, di un significativo successo diplomatico, che racchiude in sé una nuova insidia alla già fragile coesione europea.

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