Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del convegno ISPI “Il futuro del multilateralismo”

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Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella al convegno ISPI “Il futuro del multilateralismo”

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Per quanto ci riguarda più da vicino non è difficile concludere che nessun Paese europeo possa incidere così profondamente sulla realtà internazionale da poterne condizionare durevolmente il corso.

Una risposta più credibile e concreta potrebbe invece venire dal soggetto che gli europei hanno insieme creato: l’Unione.

Di fronte alla scomposizione in atto, è possibile che la UE – nella sua evoluzione auspicabilmente verso un’Unione sempre più stretta – possa realisticamente fornire al sistema del multilateralismo quella “massa critica” aggiuntiva atta a ridargli slancio? E, se sì, quali le condizioni perché questo accada?

Al primo interrogativo si potrebbe semplicemente rispondere che l’Unione ha tutte le potenzialità per infondere “linfa” vitale al multilateralismo, perché di questo metodo vive giornalmente.

Se riuscirà, quindi, a darsi maggiore coesione, non potrà che essere una “potenza” multilaterale in grado di far sentire, al più alto livello, una voce, frutto di una riflessione plurale, che trova radicamento in quei valori civili e politici che ne rappresentano il frutto migliore.

Quanto al secondo interrogativo, di cosa necessita maggiormente l’Unione, nel suo articolato cammino verso una crescente integrazione, per fare un “salto di qualità” tale da poter richiamare gli altri grandi “attori” – in primis Stati Uniti, Cina e Russia, ma non soltanto questi – al rispetto sostanziale delle regole del multilateralismo?

I molti “cantieri” aperti tesi a completarne l’architettura dimostrano che in larga misura i Governi europei continuano a ritenere che la scelta di integrazione – seppur declinata in maniera non sempre univoca – rappresenti ancora la strada maestra.

Il focus, tuttavia, rimane sovente ristretto a interventi nati in momenti di necessità. Interventi che hanno permesso di superare singole difficoltà ma che, successivamente, si sono rivelati parziali e poco adatti a un rafforzamento dell’Unione in tutte le direzioni

Quello di cui avremmo necessità – e il nuovo ciclo che si apre a Bruxelles rappresenta, su questo piano, un’opportunità da cogliere – è un disegno di più ampio respiro che consenta di porre mano alle “debolezze strutturali” dell’Unione per attenuarne gradualmente la portata.

Queste fragilità attengono – in sintesi estrema – a due aree: quella della politica estera e quella della politica economica.

Il ciclo istituzionale che si è appena concluso ha visto l’Unione muovere passi significativi verso la definizione di una politica estera e di sicurezza comune più definita.

Con l’approvazione della “Strategia Globale”, su spinta dell’Alto rappresentante, Federica Mogherini, si è posta una “prima pietra” nel tentativo di tradurre una “visione comune” in una “azione comune”. Un passo importante che necessita di essere immediatamente ripreso, rafforzato e approfondito.

La dispersione delle forze indebolisce tutti, di fronte a una realtà sempre più complessa, nella quale i conflitti si giocano su più livelli: militare, cyber, intelligence, a cui si aggiunge l’insidioso universo delle risposte asimmetriche.

Anche sul piano degli strumenti, sono stati realizzati risultati incoraggianti. Sono, infatti, intervenute positive novità come l’approvazione della PESCO e del Fondo Europeo per la Difesa. Progetti che necessitano anch’essi di mettere più forti radici nella dinamica comunitaria.

Siamo dunque su di una linea di positiva evoluzione.

Una linea che non è in contrasto con l’appartenenza della stragrande maggioranza dei Paesi dell’Unione all’Alleanza Atlantica. Al contrario, mettere a fattor comune risorse e strumenti accresce le capacità. L’ottica rimane quella della complementarietà e di un’evoluzione destinata a rendere l’Alleanza più forte nel servire gli interessi comuni.

Un’Europa più coesa significa, quindi, rafforzare l’engagement fra le due sponde dell’Atlantico attorno ai princìpi di libertà e democrazia che sono alla base del Trattato.

La seconda area che l’Unione deve rafforzare è quella della politica economica.

Il livello di benessere che l’Unione ha garantito ai propri cittadini – certamente superiore a quello che singolarmente gli Stati membri sarebbero riusciti a fornire – è strettamente legato al sistema di collaborazione internazionale che mosse i suoi primi passi a Bretton Woods.

La possibilità di libero scambio di beni e servizi, in larghissime quantità e senza restrizioni, ha caratterizzato lo sviluppo dell’economia europea dal secondo dopoguerra ad oggi.

L’Europa è fortemente dipendente dal buon funzionamento dei mercati internazionali, dalla sua capacità di esportazione e dalla presenza di economie aperte alla importazione.

Principale blocco commerciale al mondo, l’Unione Europea deve saper perseguire partnership positive, equilibrate, mutualmente vantaggiose, nella consapevolezza che un assetto basato esclusivamente su una generale vocazione di tutti i Paesi alla mera esportazione di beni e servizi porterebbe alla competizione di tutti contro tutti, in un rincorrersi di protezionismo e guerre commerciali.

Contribuire a un diverso equilibrio internazionale passa anche dal sostegno alla domanda, stemperando le tensioni che si addensano sui rapporti commerciali, le cui conseguenze in termini di contrasti doganali sarebbero negative per tutti.

L’Unione va dotata urgentemente di autonomi strumenti di politica economica e fiscale e non soltanto in funzione anticiclica ma anche – e direi soprattutto – allo scopo di permettere all’Europa di rimanere “al passo” con le grandi realtà economiche di oggi.

Senza un consistente flusso di investimenti in ricerca, sviluppo e formazione, in ammodernamento delle infrastrutture fisiche e informatiche o per contrastare il cambiamento climatico, l’Unione, tra l’altro, non potrà mai aspirare a far parte del ristretto club dei grandi attori internazionali; e rinunzierebbe a fornire sulla scena mondiale, da protagonista, il contributo dei suoi valori e della sua visione.

Nessuna azienda europea compare oggi fra le maggiori a livello mondiale e nessuna delle big tecnologiche proviene dal continente europeo.

Un’Europa più solida (e più coesa), diverrebbe un partner internazionale più credibile.

Si affermerebbe come architetto esperto per il cantiere del nuovo multilateralismo, portando in dote un’esperienza di valore: l’applicazione con successo del criterio della sussidiarietà istituzionale.

Un partner che – per la sua stessa natura di soggetto che raccoglie e valorizza la ricchezza delle sue diverse componenti – vede nel dialogo, nella composizione programmatica degli interessi, il metodo prìncipe non solo per affrontare i grandi “nodi” delle relazioni internazionali, ma per sviluppare nella convivenza e nella cooperazione il futuro dell’umanità.

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Il testo integrale è disponibile qui.

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