Il presidente, l’Italia e l’Europa

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Grande è stato l’apprezzamento del difficile lavoro svolto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di fronte alla crisi politica che ha investito l’Italia dopo il voto del 4 marzo, con il rischio – ancora nell’aria – di una crisi istituzionale.

Adesso che un’intesa sembrerebbe a portata di mano tra il Movimento Cinque stelle e la Lega – in attesa di capire che fine faranno veramente Forza Italia e Fratelli d’Italia – quel lavoro del Quirinale non si è per nulla esaurito anzi, per il bene del Paese, dovrà continuare nel corso di una singolare legislatura che nessuno sa quanto potrebbe durare.

Lo si è capito ancora una volta chiaramente nel discorso tenuto da Mattarella a Firenze il 10 maggio scorso, nella conferenza sullo “Stato dell’Unione”, con serie riflessioni sul passato e il presente dell’Europa e sui rischi che incombono sul suo futuro. In filigrana vi si poteva intravvedere una curva ascendente nella transizione dalle guerre della prima metà del Novecento alla costruzione di una Comunità pacifica e in forte sviluppo economico e sociale e una curva discendente verso le incertezze e le divisioni di oggi, alimentate da crescenti movimenti nazional-populisti ai quali rischia di dare un forte contributo il futuro governo italiano.

Dopo aver constatato che “numerosi cittadini europei hanno smesso di pensare che l’Europa possa risolvere – nell’immediato o in prospettiva – i loro problemi”, il Presidente giudica tale sentimento paradossale “se pensiamo che oltre tre successive generazioni non hanno conosciuto, grazie all’integrazione, il dramma della guerra, che ha lambito e lambisce i confini dell’Unione. Basti pensare ai Balcani pochi anni addietro, alla crisi ucraina, ai conflitti nella regione del Nord Africa e del Medio Oriente”. E il messaggio ai futuri governanti non si fa attendere, con l’invito ad “avviare una riscoperta dell’Europa come di un ‘grande disegno’ sottraendoci all’egemonia di particolarismi senza futuro e di una narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certa comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione”.

Difficile essere più severi e più espliciti, al punto che dovrebbero anche averlo capito anche i candidati a governare l’Italia, non solo a proposito del programma che proporranno al Parlamento ma, fin da subito, anche dei nomi che proporranno per la compagine governativa.

Certo non siamo in un regime presidenziale, ma rilevante resta il potere del Presidente della Repubblica in questo delicato passaggio

politico e istituzionale. In proposito la Costituzione è chiara, quando all’art. 92 afferma che “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”. Tradotto: se i nomi proposti non dessero garanzia per il rispetto della Costituzione, il Presidente può rifiutarli, come già accaduto in passato.

Si spera che, nella volatilità degli impegni prima presi e poi rinnegati (e magari ancora ripresi) in questi confusi due mesi di negoziati politici, tutta la Costituzione venga rispettata, per cominciare dall’art. 75 sulla non ammissione dello strumento del referendum per i trattati internazionali, ma soprattutto l’adesione a uno dei principi fondamentali contenuti nella prima parte della Carta. E’ l’art. 11 che, nella sua seconda parte recita: “L’Italia…consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Un tema su cui Mattarella è tornato nel suo discorso a Dogliani ricordando Luigi Einaudi, “europeista e federalista”, per il quale “La civiltà europea avrebbe potuto salvarsi dall’autodistruzione soltanto collocandosi nella prospettiva dell’integrazione e perseguendo la via degli Stati Uniti d’Europa”. E Mattarella ha chiuso con la citazione di Einaudi: “Il tempo propizio per l’unione europea è ora soltanto quello durante il quale dureranno nell’Europa occidentale i medesimi ideali di libertà. Siamo sicuri che i fattori avversi agli ideali di libertà non acquistino inopinatamente forza sufficiente a impedire l’unione…?”.

Un monito chiaro ai sovranisti di casa nostra e ai “sonnambuli” di Bruxelles e dintorni: se lo avessero dimenticato, è sicuro che il Presidente continuerà a ricordarglielo.

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