“La paura è con ogni probabilità il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo. Ma è l’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro che covano e alimentano la più spaventosa e meno sopportabile delle nostre paure. Questa insicurezza e questa incertezza, a loro volta, sono nate da un senso di impotenza: ci sembra di non controllare più nulla, da soli, in tanti o collettivamente.”
Il 9 gennaio 2017 si porta via uno dei più grandi intellettuali della nostra epoca: a 91 anni se ne va Zygmunt Bauman, e con lui una grande mente dell’epoca contemporanea.
Si potrebbe approfittare di questa occasione per riflettere sulle sue parole e, visti i tempi in cui viviamo, uno dei suoi scritti più attuali resta “il demone della paura”, un saggio del 2014 dove il grande pensatore teorizza e riflette sulla costruzione e sull’alimentazione della paura nella società contemporanea.
L’autore apre il saggio raccontando come la paura è stata oggetto delle campagne politiche degli ultimi anni, a partire dai primi attacchi terroristici ad opera di al-Qaida e la conseguente guerra al terrorismo. Bauman accusa i governi di non voler prendere in considerazione ciò che sta dietro l’odio, e quindi il motivo per cui i ragazzi sono pronti a immolarsi per una causa, i motivi di queste scelte, concludendo considerando come il più imponente prodotto della guerra contro i terroristi accusati di seminare la paura è stato fino ad ora la paura stessa.
Il saggio prosegue analizzando la paura che tutti noi proviamo nella nostra vita quotidiana: “incapaci di far rallentare il ritmo sbalorditivo del cambiamento, e tanto meno di prevederne e controllarne la direzione, ci concentriamo sulle cose che possiamo (o crediamo di potere, o ci hanno garantito che possiamo) influenzare”. Il ritorno economico che la paura ha sulla società, il ricorso ai SUV come “capsule difensive”, agli allarmi per le case private, alle assicurazioni personali come soggetti del “capitale della paura”, indirizzabile verso qualsiasi tipo di profitto, commerciale o politico. Un’atomizzazione dell’individuo, una privatizzazione dei problemi, ulteriori incertezze che intaccano la nostra vita quotidiana, trasformando lo Stato-nazione tradizionalmente considerato come garante della nostra libertà, in uno Stato che deve proteggere i cittadini dai pericoli per l’incolumità personale; incarnando i pericoli in un’unica figura, quello dell’immigrato clandestino.
Si continua con l’analisi dello Stato della paura: un ente incaricato della protezione (l’assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali) e non più della ridistribuzione della ricchezza. Le conseguenze di questa trasformazione sono nefaste, afferma Bauman: “quando la competizione prende il posto della solidarietà, gli individui si ritrovano abbandonati alle proprie risorse, penosamente esigue e palesemente inadeguate”. Lo Stato ha perso la sua funzione di ri-educatore e di asservitore avente lo scopo di garantire l’inserimento societario degli individui, permettendo invece un’esclusione delle categorie più deboli, che ad oggi sono rappresentate dai disoccupati al pari dei criminali considerati come esseri in esubero non più rieducabili o reinseribili nella società.
Il quarto capitolo è dedicato allo spazio della Paura, dove viene analizzata la città e il ruolo che ad oggi ricopre nell’alimentazione dell’ansia e aggressività che popola le città contemporanee. Il tutto viene alimentato dalla speranza che, erigendo dei confini e dei muri, questa sensazione verrà meno, rafforzando invece così l’instabile, erratica e imprevedibile esistenza di quelli che stanno dietro. Bauman parla di “mixofobia”, l’istinto a ritagliarsi isole di similitudine nella varietà di cui ormai la città si compone. Secondo l’autore non si tratta solamente di un allontanamento dall’alterità esterna, ma di una rinuncia a impegnarsi in una vivace ma turbolenta, corroboante ma ingombrante, interazione interna. “Le città moderne sono discariche di problemi prodotti a livello globale, ma possono essere anche viste come dei laboratori in cui i modi e gli strumenti per convivere con la differenza (…) vengono continuamente inventati, messi alla prova, memorizzati e assimilati”.
Infine, l’ultimo capitolo: “I diritti come antidoto alla paura”, ed è qui che si vuole concentrare la nostra attenzione. In questo capitolo viene esaltata la necessità di comprendere e valorizzare il valore universale delle norme, che solo in questo caso trasformava tutti i giocatori in vincenti. Secondo l’autore la chiave del nostro secolo è racchiusa nella sfida che la ricerca di coniugazione tra potere e politica ci porta. “In un pianeta vittima della globalizzazione negativa, tutti i problemi di fondo sono globali, ed essendo globali non ammettono soluzioni locali”. Il finale è lapidario e ci pone davanti ad una “non-scelta”. Bauman, infatti, conclude facendo riflettere il lettore su come il futuro della democrazia e della libertà o sarà garantito su scala planetaria o non lo sarà affatto.
La sua citazione di Benamin R. Barber è così acuta e attuale che vale la pena di riportarla: “Nessun bambino americano potrà sentirsi al sicuro nel suo letto se i bambini di Karachi o di Baghdad non si sentiranno sicuri nel loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo della loro libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati”.
Un saggio che si aggiunge alle molte opere che il pensatore ci lascia come eredità. Ma i pensatori passano, le loro opere restano. A noi sta di farle nostre.