Un’Unione economica e monetaria da approfondire

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Un’iniziativa in coincidenza con il negoziato di Brexit.

Era il giugno 2015 quando, ancora sotto i colpi della crisi esplosa nel 2009, i massimi Vertici delle Istituzioni UE si accordarono per disegnare un percorso di riforme che mirava a rafforzare l’Unione Europea e a prepararla ad un rilancio del suo progetto politico e delle sue procedure decisionali. Il disegno era contenuto nel “Rapporto dei cinque presidenti”, con l’obiettivo dichiarato di approfondire l’Unione economica e monetaria europea (UEM).

Nei due anni e mezzo da quell’accordo si sono susseguiti numerosi documenti di proposta, ripresi puntualmente nei Discorsi sullo stato dell’Unione, che si sono andati intrecciando, non sempre felicemente, con gli eventi di questo agitato periodo nel mondo e in Europa. Tra questi, per citare solo i principali, vanno ricordati, oltre al prolungarsi fino a oggi della crisi economica e sociale, l’irruzione del terrorismo in Europa, le dimensioni inattese dei flussi migratori e, sul versante politico, l’azzardo di Brexit, le tornate elettorali nell’UE nel corso del 2017 (Francia e Germania, in particolare) e, oltre Atlantico, il terremoto causato dall’elezione di Donald Trump a presidente USA.

In tale contesto ha preso forma la proposta per un approfondimento dell’Unione economica e monetaria, proprio alla vigilia di una svolta importante nel difficile negoziato su Brexit: una proposta che si colloca nella prospettiva di un divorzio irreversibile dell’UE con la Gran Bretagna, da sempre ostile a una tale evoluzione del processo di integrazione comunitaria.

L’iniziativa della Commissione nasce dalla consapevolezza che l’attuale UEM riposa su fondamenta ancora troppo fragili, con una capacità monetaria per l’eurozona non supportata da una politica economica comune, uno squilibrio denunciato dal Presidente Ciampi come “la zoppia” dell’Unione.

Per rimediare a questa situazione quattro le iniziative proposte. Si comincia con la creazione di un Fondo monetario europeo per sostenere i Paesi dell’eurozona in difficoltà, in particolare in caso di rischi bancari; si continua con la proposta di integrare nel diritto dell’UE le disposizioni contenute nel “fiscal impact”, una accordo intergovernativo sottoscritto nel 2012 da 25 Paesi UE per completare il risanamento delle proprie finanze pubbliche. Completano il quadro delle proposte quella di una sorta di bilancio specifico per la zona euro, in particolare per il sostegno a riforme strutturali e a misure per promuovere la convergenza dei Paesi candidati all’ingresso nell’euro e, infine, la creazione di un ministro europeo delle finanze, possibile vicepresidente della Commissione europea e presidente dell’Eurogruppo che riunisce i ministri delle finanze dell’eurozona.

Da registrare le prime reazioni di alcuni Paesi alle proposte sull’UEM: moderatamente soddisfatta la Francia, che vi ritrova alcune sue rivendicazioni; riservata la Germania, alle prese con una crisi politica che ha al centro anche posizioni in parte divergenti sul futuro dell’UE e l’Italia, restia ad avallare la trasformazione del “fiscal compact” in una normativa comunitaria cui dare forza di Trattato dell’Unione.

Prematuro dire adesso quale potrà essere l’esito dell’iniziativa della Commissione, atteso per metà 2019: una data per nulla innocente se si pensa che si colloca nei dintorni delle prossime elezioni del Parlamento europeo e della fuoruscita prevista della Gran Bretagna dall’UE. Intanto è positivo che Bruxelles si appresti a entrare nella seconda fase di negoziato con Londra, dopo aver concordato il mantenimento delle tutele dei cittadini europei in Gran Bretagna, il pagamento di una bolletta britannica di rimborso all’UE attorno ai 50 miliardi di euro e l’impegno – tutto ancora da verificare – di tenere aperta la frontiera tra le due Irlande. Un risultato politico che segna una netta vittoria UE nel contenzioso tra le due sponde della Manica e che annuncia il duro negoziato che aspetta le parti nei prossimi mesi.

Saggio, a questo punto, considerare questi ultimi eventi come potenzialmente favorevoli a un rilancio del progetto europeo, senza ancora brindare a un successo che, bene che vada, dovrà fare i conti con le difficoltà politiche che si profilano nel periodo che ci separa dalla data sensibile di metà 2019.

 

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