Ungheria, spina nel cuore d’Europa

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Tempi duri per questa Unione Europea “in crisi esistenziale”, alla ricerca di una svolta, se necessario procedendo a “velocità differenziate”, come manifestato chiaramente nel recente Consiglio europeo di Roma a fine marzo.

Che le velocità differenziate già esistano nell’UE è cosa nota. Solo diciannove Paesi hanno adottato la moneta unica, non tutti i Paesi UE hanno sottoscritto gli Accordi di Schengen, altri si sono chiamati fuori da pezzi dei Trattati: fin qui differenziazioni formalizzate nero su bianco, roba ufficiale.

Più lunga sarebbe la lista di quanti si sono andati differenziando nella pratica con le loro politiche e i loro orientamenti, quasi ad onorare il motto europeo “Uniti nella diversità”, dove spesso la diversità ha fatto premio sull’unità, divenuta molto labile in questi ultimi tempi in Europa.

Ma anche qui bisogna distinguere: un conto è differenziarsi nelle politiche di competenza nazionale, quelle sociali e fiscali per esempio, altra cosa declinare diversamente politiche di competenza comunitaria o in materia di finanze pubbliche.

Dove la divaricazione tra Paesi UE diventa grave è quando si diverge sui valori fondamentali sui quali è costruita l’Unione: quelli della solidarietà, della libertà e dello Stato di diritto. Di questa divaricazione inaccettabile si sta facendo alfiere un Paese in particolare, l’Ungheria di Viktor Orban, in una sorta di competizione con la vicina Polonia.

L’Ungheria, uno dei quattro Paesi “riluttanti” di Visegrad con Polonia, Slovacchia e Repubblica ceca, è entrata nell’UE nel 2004, reduce dal lungo inverno sovietico e accolta in una Comunità e in un sistema di alleanze garanti di democrazia e libertà per un Paese pericolosamente a ridosso dell’orso russo, sopravvissuto ferito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. E così sembrò che potesse funzionare, almeno fino a quando al potere ritornò nel 2010 Viktor Orban, alla testa dell’Unione civica Ungherese (Fidesz), oggi presente nel Parlamento europeo sui banchi del Partito popolare europeo. Da allora la politica ungherese ha registrato un crescendo di misure nazionaliste e spesso illiberali, dal contrasto alla libertà di stampa all’alterazione dell’equilibrio dei poteri nello Stato fino al rifiuto dell’accoglienza dei migranti, il tutto accompagnato da un inatteso ma significativo avvicinamento alla Russia di Putin.

Tutti comportamenti che non possono non provocare imbarazzo in seno al Partito popolare europeo al quale, da più parti, si chiede di prendere provvedimenti, in coerenza con i valori e lo statuto del partito del Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, della Cancelliera Angela Merkel e del Primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy.

Imminente sembra essere in proposito l’apertura, da parte della Commissione europea, di una procedura di infrazione verso l’Ungheria per la salvaguardia dello Stato di diritto e il contrasto alla deriva autoritaria del governo ungherese. Tre sono oggi i principali punti di contenzioso tra Bruxelles e Budapest: l’arresto automatico per i migranti, le misure destinate a mettere a tacere la Central European University di George Soros e le leggi in preparazione per contrastare l’azione di organizzazioni non governative sgradite al potere. Sono in corso tentativi di dialogo, che se però non dovessero avere esito positivo potrebbero concludersi con sanzioni all’Ungheria e tagli ai fondi strutturali, se non addirittura con la sospensione – improbabile visto che necessita di un accordo unanime dei Paesi UE – del diritto di voto in seno al Consiglio europeo. In tal caso, oltre a Paesi UE che avanzeranno a velocità differenziata, ne avremmo anche che andranno in retromarcia.

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