Trump infiamma la Palestina

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Era stata annunciata in campagna elettorale e aveva già fatto venire i brividi per le possibili conseguenze:

il 6 dicembre scorso il Presidente degli Stati Uniti, per mantenere una promessa fatta ad una piccola ma particolare fetta fondamentalista del suo elettorato, ha confermato la sua decisione di spostare l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme.

Il significato politico di una tale decisione, se di disegno politico si può parlare, è semplicemente quello di riconoscere, unilateralmente e senza rispetto per il diritto internazionale e le Risoluzioni ONU al riguardo, Gerusalemme comme capitale di Israele.

Una decisione quella di Trump, che rompe definitivamente con la tradizione politica dei suoi predecessori, che dal 1995, ogni sei mesi, bloccano l’attuazione di una legge del Congresso che invita, appunto, a un tale riconoscimento, sottolineando così, nel tempo, l’estrema sensibilità dell’argomento per un eventuale processo di pace in Medio Oriente. Gerusalemme infatti, oltre al suo complesso carattere simbolico, identitario e religioso è il fulcro politico intorno al quale costruire un giusto futuro a due Stati, in cui i Palestinesi avrebbero in Gerusalemme Est la loro capitale. Va ricordato qui che Israele, dall’annessione di Gerusalemme est nel 1980, celebra Gerusalemme come sua “capitale completa, eterna e indivisibile”, annessione e decisione condannate dall’ONU e non riconosciute da nessun Stato al mondo.

Questa decisione di Trump, che ignora questo stato di cose e legittima l’occupazione di Israele sulla parte orientale della città, sebbene non abbia in sé “un valore giuridico”,va ben oltre l’aspetto simbolico e segna un momento di grave incertezza sull’orientamento generale della politica mediorientale degli Stati Uniti e sul conflitto israelo – palestinese in particolare. Prima di tutto solleva l’interrogativo sul seguito che Trump intende dare a questa sua decisione : non si vede infatti all’orizzonte, come annunciato anche in campagna elettorale, nessun piano di pace e suonano alquanto vuote e contradditorie le sue dichiarazioni quando dicono : “ Ho giudicato questa linea d’azione nel migliore interesse degli Stati Uniti d’America e nel perseguimento della pace tra Israele e i Palestinesi. Questo è un passo da lungo tempo necessario per far progredire il processo di pace e per lavorare verso un accordo duraturo. “Certo che se le premesse sono queste, la sensazione è che gli Stati Uniti hanno già creato le basi di un quadro negoziale ingiusto e inaccettabile per i Palestinesi.

Le reazioni a questo gesto prevedibilmente esplosivo non si sono quindi fatte attendere : Cisgiordania e Striscia di Gaza in piena collera e rivolta, con le prime vittime e centinaia di feriti. Il mondo arabo ha espresso il suo deciso disaccordo, compresi Paesi come l’Arabia saudita, vicina a Trump e alla sua politica di contrasto all’Iran nella regione. Condanna infine dalla comunità internazionale, in particolare in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, che ha ribadito la posizione per una Gerusalemme capitale di due Stati e ha condannato la decisione di Trump giudicandola “una minaccia alla pace”.

Anche l’Unione Europea ha fatto sapere, pressoché unita, e soprattutto attraverso le parole del Presidente francese Macron e quelle dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini la sua preoccupazione e la sua posizione in favore di uno status finale di Gerusalemme risolto con negoziati diretti tra le parti. Unico Paese, ovviamente, ad apprezzare questo storico “dono” da parte degli Stati Uniti è stato Israele che, senza imbarazzo e senza concedere nulla ai Palestinesi, invita altri Paesi a seguire l’esempio del Presidente americano.

Rimane quindi più che mai in sospeso l’allarmante interrogativo se ci sarà un giorno una pace e una soluzione al conflitto israelo-palestinese, che oggi potrebbe coinvolgere l’insieme della regione, già fortemente attraversata da altre guerre e continue turbolenze.

 

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