Stati Uniti e Israele lasciano l’UNESCO

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Con la recente decisione di Donald Trump, l’amministrazione americana ha definitivamente sospeso i suoi rapporti con l’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura.

Alla decisione americana è immediatamente seguita quella di Israele, con motivazioni simili e che riguardano, in particolare, lo statuto della Palestina e l’interpretazione storica, da parte dell’UNESCO, di antichi e sensibili luoghi sui quali si intrecciano conflittuali memorie.

Benché si possa discutere ed essere d’accordo o meno sulle ricadute politiche generate dalle risoluzioni dell’UNESCO su Israele e Palestina, resta il fatto che queste ultime non sempre contribuiscono a generare quel clima di serena condivisione di un patrimonio storico, culturale e religioso su cui si dovrebbe basare un tanto necessario processo di pace.

Il ritiro degli Stati Uniti, imputabile solo in parte al Presidente Trump e non solo per la sua avversione nei confronti del multilateralismo o per i giudizi negativi che ha nei confronti dell’ONU, ha radici politiche più inquietanti : “ha inclinazioni anti-israeliane”, si legge nelle motivazioni della decisione. Una decisione che fa seguito e va oltre a quella presa sei anni fa dall’amministrazione Obama di tagliare il proprio contributo finanziario di oltre 80 milioni di dollari all’anno per l’Agenzia, ossia il 22% dell’intero budget, a causa dell’ingresso della Palestina come membro dell’UNESCO. Una decisione dettata da una legge degli anni Novanta che proibisce agli Stati Uniti di finanziare Agenzie dell’ONU che riconoscono la Palestina come Stato.

Una decisione inoltre che non ha impedito, negli ultimi giorni della Presidenza Obama, che il Consiglio di sicurezza dell’ONU adottasse, con la sorprendente astensione degli Stati Uniti, una risoluzione che chiedeva ad Israele di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi e insisteva perché la soluzione del conflitto in Medio Oriente passasse per la creazione di uno Stato palestinese che convivesse con Israele.

In questo clima che ha generato incertezze e impotenza politica a livello internazionale e lascia sempre meno sperare in una riconciliazione fra i due popoli, anche l’uscita di Israele dall’UNESCO segna una nuova tappa nell’impossibile dialogo israelo-palestinese. Israele non ha ovviamente mai accettato che l’UNESCO, nell’ottobre 2011, riconoscesse la Palestina come Stato membro a pieno titolo. L’ultima risoluzione del luglio scorso, quella che ha definitamente motivato l’uscita di Israele dall’Agenzia ONU, è il riconoscimento della Tomba dei Patriarchi ad Hebron, in Cisgiordania, come “sito palestinese” del Patrimonio Mondiale, nonché “patrimonio dell’umanità in pericolo”. Ricordiamo che la Tomba dei Patriarchi rappresenta il secondo luogo santo dell’ebraismo (dopo il Muro del Pianto) e custodisce il sepolcro di Abramo, di Isacco e Giacobbe e delle loro mogli. Ma è luogo venerato anche dai musulmani che lo chiamano il “Santuario di Abramo” o “Moschea di Abramo”.

Queste decisioni di Stati Uniti e Israele, riuniti in un rinnovato e più forte rapporto, non mandano quindi segnali di pace. E forse l’uscita dall’UNESCO segna l’inizio di una nuovo e più agguerrito approccio diplomatico dei due Paesi nei confronti e all’interno di quelle sedi sovranazionali che cercano di dare voce ad una Palestina che da decenni è alla ricerca di un riconoscimento e di uno Stato. E forse, il recente accordo intervenuto tra Fatah e Hamas, che dovrebbe rafforzare l’Autorità nazionale palestinese, non è totalmente estraneo a questa nuova frattura nelle relazioni fra i due popoli.

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