Se si muove la riluttante Germania. E l’Italia?

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Ci voleva tutta la rozzezza umana del giocatore d’azzardo politico, il presidente Trump, per costringere la riluttante Angela Merkel a uscire dalla tana e chiamare l’Europa – e la sua Germania – ad assumere le proprie responsabilità.

Se da una parte i risultati del G7 a Taormina sono stati più che modesti, dall’altra quanto accaduto nel corso del primo viaggio del Presidente USA in Europa e dintorni potrebbe segnare una svolta importante per il futuro dell’Occidente e dell’Unione Europea in particolare.

Sui risultati è presto detto: poco o niente sui diritti dei migranti e sull’impegno a salvaguardare il pianeta dal surriscaldamento climatico, una fragile tregua nella battaglia sul protezionismo commerciale e accordi di principio per intensificare la lotta al terrorismo. Un impegno quest’ultimo in cui è stata coinvolta la NATO, senza che gli USA temperino la loro alleanza con l’Arabia saudita, e l’islam sunnita, e con Israele a spese di una pacificazione in quell’area, madre di tutte le instabilità mediorientali. Temi che probabilmente sono stati toccati nell’incontro di Trump con papa Francesco: cordiale finché si vuole, ma non a spese di un’etica che divide sideralmente i due interlocutori.

Di qui anche l’importanza di quanto ha fatto seguito al vertice di Taormina, dove hanno ben figurato gli europei, dalla coraggiosa presidenza di turno italiana con Paolo Gentiloni, alla difesa della dignità dell’Europa di Emmanuel Macron fino al malumore non nascosto della Cancelliera tedesca. Che tornata a casa ha detto quello che pensava del Vertice e del Presidente USA, del quale ha affermato che “ormai non ci si può più fidare”. Parole forti e inusuali in bocca ad Angela Merkel, che potrebbero inaugurare una nuova stagione per l’Unione Europea, senza nemmeno dover attendere le elezioni di settembre, tanto è probabile la riconferma della Cancelliera e, più ancora, l’urgenza della nuova situazione da affrontare.

Quello che sembra profilarsi è un’iniziativa tedesca nel quadro di quell’Unione “a diversa intensità”, annunciata a Roma a fine marzo, condivisa dal giovane Presidente francese con il sostegno, tra gli altri,  dell’Italia e degli altri Paesi fondatori e dell’eurozona.

E sarà probabilmente l’eurozona la base di partenza per la nuova Europa, per dotarla di nuovi strumenti che la rafforzino: dall’adozione di un bilancio specifico alla creazione di un ministro europeo delle finanze, dalla elaborazione di dispositivi finanziari europei per gli investimenti fino all’allestimento di una struttura centrale per il coordinamento della sicurezza e della difesa. Tutto questo, naturalmente, con un forte ruolo della Germania che punta, nel 2019, a dare a Mario Draghi un successore tedesco alla Banca centrale europea, possibilmente nella persona del falco Jens Weidemann, attuale presidente della Bundesbank.

Su questa probabile traiettoria dove si colloca l’Italia? Nel merito delle proposte sul tavolo si ritrova facilmente, anche perché alcune di queste, variamente declinate, sono italiane. Più problematico il ruolo che potrà giocare in questa partita, visto il suo quadro politico precario, il suo pesante dissesto finanziario e la sua perdurante convalescenza economica. Una situazione che spinge qualcuno a elezioni anticipate, tra l’altro per “esserci”, legittimati dal voto popolare, quando in autunno i giocatori europei scenderanno in campo; altri, forse più saggiamente preferirebbero concludere senza traumi la legislatura, curare un’economia malata e affrontare la prossima difficile legge finanziaria d’autunno.

Inutile fare pronostici: comunque vada per l’Italia non sarà una passeggiata.

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