Preoccupazioni per la sicurezza, in Italia e in Europa

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Mentre in questa confusa campagna elettorale in vista delle elezioni italiane si mescolano mirabolanti promesse, indagini giudiziarie e rivelazioni sugli intramontabili furbetti di casa nostra, cresce tra i cittadini la preoccupazione per la sicurezza, in parte alimentata da chi soffia sulle paure e in parte originata da episodi di violenza, come accaduto con i fatti recenti di Macerata ma non solo.

A questa fondata preoccupazione vi è chi risponde brandendo l’arma della difesa personale, con il rischio di provocare da noi un Far West come dall’altra parte dell’Atlantico; chi ricorre alla minaccia, peraltro impossibile da eseguire, di espulsioni di massa dei cittadini stranieri arrivati in Italia e chi, con più saggezza, fa valere che in una democrazia è compito dello Stato garantire la sicurezza e propone riforme per rafforzare non solo norme punitive ma, più ancora, politiche e azioni di prevenzione.

Tutto questo accade nella “provincia” italiana, ancora troppo ripiegata su se stessa per cogliere che sul tema sicurezza si agitano nel mondo, e in Europa, dinamiche molto più complesse, all’origine di più gravi preoccupazioni sulle minacce ai nostri Paesi, mentre la spesa militare cresce e l’industria degli armamenti non conosce crisi.

E’ quanto apparso chiaramente nel corso della 54° Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, dove il fantasma di un ritorno militare della Russia ha tenuto banco e portato allo scoperto le intenzioni di alcuni tra i principali Paesi UE, come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna. Non è un mistero che Parigi e Berlino, con intensità e visibilità diverse, stiano lavorando ad un progetto di difesa comune europea, cui si stanno associando un buon numero di altri Paesi, tra cui l’Italia e senza che ne venga esclusa la Gran Bretagna, anche qualora uscisse dall’Unione Europea.

Il tema del rafforzamento del “pilastro europeo” della NATO non è nuovo, ma a Monaco è riemerso con forza, tenuto conto da una parte del raffreddamento dell’alleanza tra UE e gli USA di Donald Trump e nel nuovo prorompente protagonismo russo sulla scena continentale, a partire dal ruolo conquistato nell’area mediorientale nel quadro di quel conflitto siriano in particolare, che a qualcuno ha fatto venire in mente Sarajevo e la Prima guerra mondiale.

Resta però che l’iniziativa congiunta di Parigi e Berlino per una difesa europea deve fare i conti con i numeri della spesa militare nella NATO, dove il contributo dei Paesi UE riuniti pesa per il 20% rispetto ai Paesi extra-UE, Stati Uniti in testa. I quali da tempo ormai, e non con Trump soltanto, accusano gli alleati di non onorare l’impegno di concorrere alle spese NATO nella misura del 2% sul rispettivo Prodotto interno lordo: solo Grecia, Gran Bretagna ed Estonia rispettano quella soglia; la Francia vi concorre con l’1,8%, la Germania con l’1,2% e l’Italia con l’1,1%.

A complicare ulteriormente gli squilibri tra gli alleati pesa senza dubbio il peso dell’arma nucleare, che sta tornando protagonista – e non solo nella Corea del nord – di quello che chiamavamo, negli anni della “guerra fredda”, l’equilibrio del terrore. Nella NATO posseggono l’arma nucleare solo gli USA, la Gran Bretagna e la Francia, in proporzioni e con capacità operative tra loro non comparabili. Senza contare che dei due Paesi europei la Gran Bretagna, di gran lunga la principale potenza militare continentale, si appresta ad uscire dall’UE, anche se sembra di capire che potrebbe associarsi alla strategia di Parigi e Berlino, in cambio di una maggiore disponibilità da parte dell’UE nel negoziato in corso per Brexit. Una domanda che per ora Bruxelles rinvia al mittente.

Difficile prevedere come possa andare a finire.

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