Mettere in sicurezza l’Europa

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Il recente attentato di Nizza è l’ennesimo episodio della scia terrorista di sangue che si è abbattuta sull’Occidente in questo inizio di secolo, prima con l’attentato alle Torri Gemelle a New York, poi in Europa, a Madrid e Londra, per continuare negli ultimi mesi con le stragi di Parigi e Bruxelles.

Insieme a questi attentati prosegue da tempo una sequenza di stragi, anche più frequenti e di maggiori dimensioni, che insanguinano Paesi agli immediati confini meridionali  dell’Unione Europea, dalla Turchia alla Siria, dall’Iraq all’Egitto e oltre: tutti episodi che configurano un vasto teatro di guerra che, dopo aver lambito l’Europa, la sta ora colpendo al cuore.

In questo quadro, sempre più allarmante, sta diventando centrale anche per l’Unione Europea il tema della sicurezza, non solo da promuovere al suo esterno, ma anche da salvaguardare con urgenza all’interno delle proprie frontiere. Il compito della sicurezza esterna è stato sostanzialmente affidato agli interventi promossi con la bandiera della NATO, come è stato ancora confermato dal recente Vertice dell’Alleanza Atlantica a Varsavia, a inizio luglio, con la dichiarazione comune sottoscritta con l’UE.

Diventa adesso urgente affrontare il problema della sicurezza a casa nostra, non solo all’interno dei singoli Paesi che la compongono, ma dell’UE nel suo insieme e verificare quanto  sia consentito fare con gli attuali Trattati e quanto siano richieste invece nuove iniziative per allontanare lo spettro di  una possibile “guerra civile” tra comunità in Europa, per interposte frange violente.

In Francia la vigilia delle elezioni presidenziali offre l’occasione per usi strumentali del tema sicurezza, portando abbondante acqua al mulino del Front National di Marine Le Pen, proprio come è nei disegni del terrorismo islamico che mira a seminare divisioni nella politica e nella società francese.  I primi segnali già s’intravedono in esplosioni di rabbia rivolte verso il governo, ma non meno inquietanti sono gli episodi di aggressività nei confronti di popolazione immigrata di cultura islamica, mentre si va diffondendo un clima di diffidenza e ostilità destinato a crescere all’interno delle nostre società multiculturali.

Rischia di cedere, da parte della popolazione europea, l’argine del diritto e della tolleranza dinanzi al mancato, o comunque insufficiente, smarcamento delle comunità musulmane locali nei confronti del terrorismo di origine islamica e cresce il disagio di chi contava su un loro esplicito dissenso seguito da fatti concreti, non limitati alla condanna se non addirittura a un silenzio carico di ambiguità.

In questo quadro il tema della sicurezza può diventare incandescente e poco possono in Trattati UE per raffreddare la situazione e dare soluzioni a problemi che vanno drammaticamente ingigantendo. Il Trattato di Lisbona fa  riferimento al tema della sicurezza, ma fornisce pochi strumenti comunitari per promuoverla tanto all’esterno dell’UE quanto al suo interno.

Della politica di sicurezza e di difesa comune il Trattato afferma che è parte integrante della politica estera dell’Unione Europea, a oggi largamente inesistente e comunque sottoposta al vincolo, perlopiù insuperabile, del voto all’unanimità.

Il tema della sicurezza interna è stato oggetto di una strategia proposta dalla Commissione europea già nel 2010, ma con scarsi risultati. E’ di aprile 2015 la proposta da parte della Commissione europea di un “Programma europeo in materia di sicurezza” che, dopo aver affermato che i primi responsabili in materia di sicurezza sono gli Stati membri, ricorda che minacce transnazionali come il terrorismo non possono essere affrontate senza un approccio europeo comune.

Questa “Agenda europea sulla sicurezza”, adottata dal Consiglio UE il 16 giugno 2015, comprende provvedimenti che mirano, tra l’altro, a contrastare la minaccia dei terroristi combattenti stranieri che ritornano in patria, prevenire e combattere la radicalizzazione, punire i terroristi e i loro sostenitori, migliorare lo scambio di informazioni, impedire ai terroristi di accedere alle fonti di finanziamento e proteggere i cittadini e le infrastrutture critiche.

Come si vede un programma ambizioso, ma in parte già superato da eventi tragici, come quello di Nizza, e da “lupi solitari”, come appena avvenuto in Germania, e penalizzato dalla frammentazione nazionale delle competenze, con il loro corteo di gelosie e reticenze, a cominciare dai servizi di “intelligence”.

Se il terrorismo sta diventando una malattia mortale per le nostre comunità è anche perché non riusciamo a debellare il virus del nazionalismo che indebolisce l’UE, rendendola  sempre più fragile, come dimostra Brexit e perché mancano risposte convincenti ai diffusi movimenti populisti che attaccano l’Europa, accusata per la mancata sicurezza.

Come se fosse possibile garantire sicurezza ai cittadini in Europa senza mettere in sicurezza la dimensione sovranazionale delle politiche dell’UE, rafforzando la cultura del diritto, ma senza concessioni “buoniste” alla violenza terrorista e a chi se ne fa oggettivamente complice.

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