Mediterraneo. ONG contestano il codice di condotta proposto dal Viminale

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Molteplici Organizzazioni Non Governative affermano che il codice di condotta possa rendere più difficoltose le operazioni di salvataggio e ritardare gli sbarchi in sicurezza, infrangendo gli obblighi che sia i capitani delle navi sia gli Stati hanno sotto la Legge Internazionale del Mare e non aderente alla Convenzione di Ginevra.

Il 6 luglio scorso a Tallinn, il Governo italiano ha proposto un codice di condotta per le ONG operanti su navi private nelle acque del Mediterraneo per assicurare che le organizzazioni non traghettino i rifugiati dalle coste libiche a quelle italiane. Approvato dall’UE sebbene con qualche difficoltà, il codice è strutturato in undici punti che prevedono:

Il divieto di ostacolare le operazioni di ricerca e salvataggio della guardia costiera libica, l’obbligo di far salire a bordo gli ufficiali di polizia giudiziaria per indagare sul traffico di esseri umani; si chiede inoltre di dichiarare, per ragioni di trasparenza, le fonti di finanziamento per le operazioni di salvataggio in mare; l’obbligo di segnalare al MRCC (centro di coordinamento marittimo) gli  avvistamenti e i successivi interventi in mare; e infine, l’obbligo di trasmettere tutte le informazioni, che possano aiutare nelle finalità investigative, alle autorità di Polizia italiana.

Il Governo Italiano afferma di voler chiudere i propri porti a queste imbarcazioni in caso di mancata firma dell’accordo da parte delle ONG.

Le Organizzazioni Non Governative ritengono che il codice di condotta, creato per rendere le operazioni di salvataggio più sicure, al contrario, potrebbe mettere più vite in pericolo.

ONG quali Medici Senza Frontiere, Save the Children e Sea Watch, denunciano infatti la pericolosità del codice. Negando l’accesso alle acque territoriali libiche per operazioni di soccorso e obbligando le navi a sbarcare rifugiati e migranti, abbandonando così la zona di emergenza per lunghi periodi, aumenterebbe il numero di persone a rischio affogamento. Anche dal punto di vista legale, secondo l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) come comunicato in una nota, l’Italia non possiede le competenze giuridiche per regolare la condotta di navi impegnate in operazioni di soccorso, ivi incluse navi battenti bandiera di uno Stato terzo, oltre i limiti delle acque su cui l’Italia esercita competenze in virtù del diritto internazionale.

Amnesty International e Human Rights Watch si rammaricano del fatto che l’UE e i suoi Stati Membri non siano stati capaci di offrire all’Italia e ad altri stati frontalieri adeguate misure di supporto e assistenza. “Le NGO stanno salvando vite nel Mediterraneo perché l’unione Europea non lo sta facendo” afferma Judith Sunderland, vice direttore di HRW per l’Europa e l’Asia Centrale.

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