La Turchia nelle mani del Sultano Erdogan

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La repressione voluta dal Presidente Erdogan in seguito al tentativo di golpe militare del 15 luglio scorso è di una rara violenza, tanto da indicare che la Turchia stia per imboccare una strada che potrebbe cambiare definitivamente, da un punto di vista della democrazia, della laicità, dello stato di diritto e delle relazioni internazionali, il suo già problematico profilo.
Non si tratta in effetti solo di una caccia ai responsabili militari e a coloro che direttamente o indirettamente hanno sostenuto il tentativo di colpo di Stato, ma di un vero e proprio tsunami repressivo che ha investito tutti i settori della società turca: ad oggi, e secondo le dichiarazioni dello stesso Presidente, sono circa 60.000 le persone arrestate o sospese dai loro incarichi, provenienti, in particolare, dall’esercito, dal mondo de della stampa, della giustizia e dell’istruzione. Non solo, ma l’istituzione dello stato di emergenza, decretato per tre mesi, conferisce ormai un potere totale al Governo e non solo nei confronti di quelle persone sospettate, a diverso titolo, di aver contribuito al tentativo di colpo di stato.
Lo stato di emergenza, paragonato da Erdogan a quello decretato dalla Francia dopo gli attentati terroristici del novembre scorso, ignorando contesti e situazioni alquanto diversi, ha portato anche alla deroga temporanea alla Convenzione europea dei Diritti umani. Severamente regolata dalla Convenzione stessa, una deroga è ammessa soltanto e temporaneamente se collegata a emergenze nazionali eccezionali, come in caso di guerra o per pericolo pubblico che “minaccia la vita della nazione” . La sospensione dei diritti non è ovviamente prevista a tutto campo e alcuni diritti sono considerati inderogabili dalla Corte, come il diritto alla vita, la proibizione della tortura e di trattamenti inumani, il diritto a un processo equo o il principio di legalità (nessuna pena senza legge), diritti inderogabili volti ad impedire i possibili tentativi di deriva autoritaria da parte dei Governi che ricorrono alla sospensione della Convenzione. Tuttavia, la deriva autoritaria in corso da tempo nonché la durezza della repressione dimostrata finora da Erdogan, non rassicurano certo sul rispetto di tali diritti.
La deroga prevede invece la temporanea sospensione del diritto di associazione e quello alla libertà d’espressione. Anche su questi aspetti, il non rispetto dei diritti è purtroppo già in atto da tempo in Turchia, ma non sembra coinvolgere, in questo particolare momento, i sostenitori dello stesso Presidente, chiamati da una settimana a questa parte a scendere in piazza per tutelare il “nuovo corso democratico” post-golpe. Non solo, ma dimostra anche il consistente sostegno di buona parte della popolazione turca alla politica del suo Presidente, sostegno messo ancor più in evidenza dall’impaurito silenzio di una sempre più contrastata opposizione.
Questa situazione invita ad alcune considerazioni sul futuro che verrà. Il Presidente Erdogan è stato abbastanza trasparente, attraverso le sue dichiarazioni di questi ultimi giorni, su quale sarà il profilo del suo Paese. Per quanto riguarda la politica interna, il Presidente ha smorzato gran parte delle illusioni di coloro che speravano ancora in un processo democratico. Grazie al fallimento del golpe, Erdogan ha ora in mano le chiavi per imprimere un’accelerazione alla riforma dello Stato a cui tiene tanto. L’obiettivo finale è la modifica della Costituzione per trasformare la Repubblica turca da parlamentare in presidenziale e convertire il Paese, attraverso la continua erosione del patrimonio laico e moderno lasciato da Ataturk, in uno Stato islamico.
Sul versante della politica estera, Erdogan sembra aver segnato un decisivo e ulteriore allontanamento dall’Europa. Non hanno certamente impressionato il Presidente le dichiarazioni di preoccupazione e i richiami dell’UE al rispetto dei diritti e alle conseguenze di una possibile reintroduzione della pena di morte. Troppo a lungo indesiderata nella famiglia europea e privata di una coerente prospettiva politica al riguardo, legittimata solo recentemente per puro interesse nelle questioni di contrasto all’immigrazione, la Turchia ha coltivato in questi ultimi anni, e senza che l’Europa se ne preoccupasse più di tanto, un pericoloso nazionalismo sempre più intriso di fondamentalismo islamico.
Oggi si può cogliere la pericolosità e la complessità della situazione : la Turchia, Paese strategico della NATO, sempre più ancorato ad un islam politico e sempre più insensibile al rispetto dei diritti fondamentali, punta ormai lo sguardo non più tanto verso l’Europa e gli Stati Uniti, ma soprattutto verso il Medio Oriente, con un’attenzione ritrovata nei confronti della Russia.
Non si può certo negare che il golpe fallito in Turchia comporti anche possibili e inquietanti cambiamenti non solo sulla scena mediorientale ma anche su quella internazionale.

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