La banalità del bene: Germaine Tillion

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Prendendo spunto dal celebre libro di Hannah Arendt “La banalità del male”, questa rubrica vuole essere una provocazione al contrario, con l’obiettivo di narrare storie di eroici personaggi più o meno contemporanei che hanno segnato la storia per i loro sacrifici e la loro immolazione a favore di un progresso umano. La rubrica mensile vuole essere un atto di descrizione di come il bene possa esistere, e il titolo vuole essere una provocazione per dimostrare come la ricerca del progresso non sia banale, ma, al contrario, di come possa essere un umano atto eroico.

 

“Noi pensiamo che l’allegria e il buon umore costituiscano un clima intellettuale più tonico dell’enfasi lacrimosa. Abbiamo intenzione di ridere e di scherzare e riteniamo di averne il diritto, poiché ci siamo impegnati con tutto ciò che abbiamo nell’avventura nazionale”.

Volantino redatto nel 1941 da Germaine Tillion

Biografia

Germaine Tillion nasce a Allègre il 30 maggio 1907. Superstite del campo di concentramento nazista di Ravensbruck, si è distinta per essersi battuta dopo la liberazione per la situazione della Guerra d’Algeria e lotta per l’emancipazione delle donne del Mediterraneo.

Celebre etnologa negli anni ’40, accoglie l’invito del generale De Gaulle alla resistenza e inizia a collaborare con organizzazioni che lavorano clandestinamente nell’aiuto a quanti rischiano di finire in carcere. Incarcerata in seguito al tradimento di un sacerdote cattolico, viene condotta nella sede parigina della Gestapo il 13 agosto 1942 dove passa cinque mesi in cella d’isolamento subendo continui interrogatori, senza però pronunciare i nomi dei compagni ai suoi aguzzini. Nell’ottobre 1943 è deportata a Ravensbrück, a nord di Berlino, in un campo di concentramento femminile con prevalenza di detenute politiche, dove vi transitarono circa 125.000 donne e dove vi morirono più di 80.000 persone.

Nel campo Germaine Tillion si occupa delle sue compagne e, grazie al suo humor, riesce a ritagliarsi dei momenti dove scrivere un’operetta, Le Verfügbar agli inferi, volta a sollevare gli animi in vista della liberazione. Grazie alla protezione delle sue compagne, la Tillion passa giorni a scrivere nascosta in una cassa d’imballaggio fra i beni saccheggiati dai nazisti nei territori occupati o prelevati dai deportati.

Finita la guerra, si dedica a raccogliere i documenti scritti e a farli combaciare con le testimonianze delle ex deportate. Questo lavoro risulterà fondamentale nei processi contro i carnefici, a cui Tillion partecipa come delegata dell’associazione ex deportate. La necessità di lavorare affinchè queste tragedie non si ripetano, la portano a lavorare nella Commissione d’inchiesta sui campi sovietici e dei paesi satelliti. Nel 1954 parte in missione per l’Algeria, dove riscontra una situazione di peggioramento rispetto agli anni ‘30 a cerca di rispondere promuovendo la nascita di Centri sociali, luoghi in cui le famiglie possono trovare spazi per lottare contro il degrado fornendo loro istruzioni e competenze per vivere dignitosamente in città.

Convinta sostenitrice della necessità di difendere i diritti delle persone, si pone come ponte tra comunità algerina e francese, patteggiando la fine degli attentati in cambio della cessazione delle esecuzioni capitali e della tortura.

In seguito a questa esperienza torna alla sua attività di insegnante, senza però lasciare la sua attività di difesa dei più deboli. Si impegna quindi a lavorare per il Ministero dell’Educazione per rendere accessibile l’istruzione nelle prigioni, si batte a favore del controllo delle nascite, contro l’escissione femminile e i matrimoni imposti alle ragazze in tanti paesi.

Il leitmotiv per Germaine Tillion è l’impegno non per le cause in nome delle quali si lotta che sono finite e non eterne, mentre “eterna (o quasi) è la povera carne sofferente dell’umanità”, che non ha bandiera.

Nel 1999 le è conferita la Grand-croix della Légion d’honneur.

Muore il 19 aprile 2008 nella sua casa a Saint-Mandé. Dal maggio 2015 i suoi resti sono stati trasferiti nel Pantheon di Parigi.

“Comprendere un meccanismo che vi opprime, dimostrarne razionalmente gli ingranaggi, rappresentarsi nel dettaglio una situazione apparentemente disperata, aiuta moltissimo a trovare sangue freddo, serenità e forza d’animo. Niente è più spaventoso dell’assurdo”. 

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