In ritardo la primavera per l’UE

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A quasi dieci anni dal lungo inverno della crisi economica e finanziaria, con pesanti ricadute sociali e politiche in Europa e in Italia, viene spontaneo chiedersi a che punto è la primavera.

Con una singolare coincidenza di date i Capi di Stato e di governo UE, riuniti nel Consiglio europeo del 22 marzo a Bruxelles, erano attesi per un annuncio di cambio di stagione per il processo di integrazione europea.

Lo avevano annunciato in Campidoglio a Roma il 27 marzo dell’anno scorso in occasione dei sessant’anni del Trattato di Roma, non a caso in coincidenza con l’avvio della procedura di divorzio della Gran Bretagna dall’UE e in ansiosa attesa delle elezioni presidenziali francesi che, con la formazione del nuovo governo tedesco, avrebbero contribuito a delineare un nuovo quadro politico europeo.

Come sono andate le cose lo sappiamo: Emmanuel Macron ha vinto in Francia, fermando almeno provvisoriamente l’ondata euroscettica nel suo Paese, e Angela Merkel è ripartita indebolita per un quarto mandato di Cancelliere, grazie a una contrastata alleanza con i socialdemocratici in caduta libera: due debolezze che non fanno una forza, né per la Germania né per il motore franco-tedesco nel quale spera Macron.

Senza dimenticare l’inquietante risultato elettorale in Austria, con l’estrema destra imbarcata al governo e l’irrisolta crisi catalana, l’UE deve adesso fare i conti con il cataclisma politico prodotto dal voto italiano del 4 marzo.

Non sorprende che con questi precedenti e gli alti e bassi politici dell’adesione al progetto europeo si sia arrivati all’appuntamento di primavera con le idee ancora confuse e con un notevole ritardo nell’elaborazione di proposte per consentire all’UE di svoltare verso un suo rilancio.

Se poi a tutto questo si aggiunge quanto sta accadendo con la minaccia protezionista attivata da Trump e quella sulla sicurezza alimentata costantemente da Putin, il quadro non può che essere complesso e difficilmente governabile. Ed è in questo quadro che l’UE deve affrontare in casa propria alcuni nodi che vanno sciolti in tempi brevi: per semplificare, entro le elezioni del Parlamento europeo in programma nella tarda primavera del 2019.

Quattro i principali dossier sul tavolo delle Istituzioni comunitarie: la trattativa in corso per chiudere su Brexit, gli orientamenti per il piano finanziario pluriennale 2021-2027, il completamento dell’Unione bancaria e il rinnovo dei Vertici istituzionali UE.

Che il negoziato tra UE e Gran Bretagna sia difficile non è un segreto: gli accordi raggiunti ad oggi sono fragili, tutto si giocherà a inizio 2019. Un’intesa provvisoria sembra esserci su un periodo di transizione post-divorzio fino a dicembre 2020 e, fino ad allora, sarebbe garantita la libera circolazione dei cittadini comunitari e la giurisdizione sulla Gran Bretagna della Corte di Giustizia UE. Per il futuro degli scambi commerciali si vedrà, come anche sul destino delle frontiere tra le due Irlande, con tutti i rischi che una mancata soluzione potrebbe comportare per la pace della regione.

Intanto a inizio maggio la Commissione europea farà conoscere i suoi primi orientamenti sul futuro delle risorse finanziarie UE per il periodo 2021-2027: come aumentarle e reperirle e in quale misura dai Paesi UE e con quali criteri ridistribuirle; quali nuove priorità introdurre o rafforzare, in particolare per l’immigrazione e la sicurezza e quali vincoli per assicurarne una gestione ispirata alla solidarietà e alla coesione sociale.

Chiamati a concludere questo negoziato saranno i nuovi Vertici UE che si insedieranno entro fine 2019. Difficile che tra questi vi siano italiani, oggi in tutt’altre faccende affaccendati. E non è rassicurante chi in Italia racconta che andrà a battere i pugni a Bruxelles dove, molto più che alzare la voce, serve essere credibili.

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