I militari in Turchia: dall’attacco alla resa

1380

Mentre gli sguardi dell’Europa intera e del mondo erano ancora dolorosamente attoniti e fissati sull’orrore che si è consumato a Nizza, l’attualità ha portato in primissimo piano, nella notte tra il 15 e il 16 luglio, un tentativo di golpe militare in Turchia.

Anche qui il bilancio delle vittime è altissimo : 265 le persone rimaste uccise, più di un migliaio i feriti. Il numero dei militari arrestati è di circa 2.800. Benché non esista nessun legame fra i due avvenimenti, certo è che, ambedue, portano il pensiero verso quel Medio Oriente sempre più in preda all’instabilità politica e attraversato dalla follia del terrorismo che insanguina anche l’Europa.

Il tentativo di golpe in Turchia, effettuato da un’imprecisata componente delle forze armate, è tuttavia carico di molteplici interrogativi non solo sulle conseguenze politiche del suo fallimento, ma anche per gli scenari che una vittoria avrebbe delineato.

Iniziamo col dire che si tratta della quarta volta dal 1961 che i militari turchi escono dalle loro caserme e, con i loro carri armati, hanno cercato di garantire stabilità politica, crescita economica e di salvaguardare quella laicità dello Stato consegnata nella Costituzione voluta da Kemal Ataturk, padre della moderna Turchia. Una Costituzione in seguito riscritta, ribadita soprattutto nella sua laicità e adottata per referendum nel 1982 proprio mentre i militari erano al potere per la terza volta.

Una delle ragioni che sembra aver spinto una parte dei militari ad un nuovo golpe è proprio la svolta islamico-conservatrice in corso, impressa da Erdogan, e il tentativo di adottare una nuova Costituzione “religiosa”, attualmente in discussione al Parlamento di Ankara. Da ricordare, in proposito, le manifestazioni dell’aprile scorso, in tutta la Turchia, in favore di una Legge Fondamentale libera da ogni condizionamento religioso. Un aspetto questo che rende conto di un Paese già ampiamente diviso fra laicità e conservatorismo islamico, ribadito proprio nella notte del golpe quando tanti cittadini turchi scesero in strada all’appello del loro Presidente. Un appello che invocava la difesa e la vittoria della democrazia proprio nel momento in cui gli autori del fallito golpe accusavano formalmente il Governo di Erdogan di “aver eliminato lo stato di diritto laico”.

Ma tante altre sono le ragioni del malcontento o delle preoccupazioni di una parte dell’esercito. Allontanate metodicamente dagli affari di stato da tredici anni a questa parte, anche se ancora unico centro di potere in grado di limitare le ambizioni autoritarie di Erdogan, le forze armate valutavano e constatavano le profonde contraddizioni politiche interne ed esterne che oggi contribuiscono fortemente alla inquetante instabilità del Paese. Internamente la guerra nel sud-sud est del Paese e contro i curdi del PKK, i numerosi attentati, l’abolizione delle libertà fondamentali e la lotta ai partiti di opposizione ; sul fronte esterno tutta l’ambiguità manifestata nella lotta all’Isis e nei rapporti con Siria e Iran, l’isolamento politico provocato dai rapporti interrotti (anche se recentemente riannodati) con la Russia o Israele, le difficili relazioni con l’Unione Europea per la gestione dell’immigrazione. Tutti aspetti che, se gestiti dai militari, avrebbero senz’altro avuto prospettive di sviluppo diverse sia a livello regionale che internazionale.

La Turchia è un Paese di grande rilevanza strategica per la sua posizione di ponte fra Oriente e Occidente. E’ Paese della NATO con un esercito considerato il più potente dopo quello degli Stati Uniti. Il golpe militare è, per il momento, considerato fallito e certamente nessuno voleva una sua vittoria nel cuore della NATO stessa. Erdogan esce da questa prova ulteriormente rafforzato dopo aver eliminato i militari contrari al suo regime e, con tutta l’ironia del caso, proprio per aver “salvato una democrazia”, anche se ormai in fin di vita. La strada è libera per la corsa alla costituzione di una Repubblica presidenziale ed è giunto il momento della resa dei conti : sono già iniziate forti ritorsioni nei confronti dei golpisti e di coloro che li avrebbero sostenuti, come l’avvenuta rimozione di circa 3.000 giudici dell’Alto Consiglio o la problematica richiesta di estradizione dagli Stati Uniti di Fetullah Gullen, ex imam indicato da Erdogan come ispiratore del fallito colpo.

Il potere attuale e futuro di Erdogan è ora più che mai salvo e legittimato. Solidarietà al suo Governo è arrivata da ogni parte del mondo. L’Unione Europea ha dichiarato in proposito “di sostenere pienamente il Governo democraticamente eletto in Turchia, le Istituzioni del Paese e lo stato di diritto”.

Non si può che essere d’accordo, a condizione di essere coscienti del prezzo esorbitante di una tale democrazia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here