Fra le turbolenze dell’Iran

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Le manifestazioni in Iran sono scoppiate alla fine di un anno carico di risvolti politici sia sul piano interno che su quello a livello regionale. Un malcontento che ha coinvolto non solo la capitale Teheran, ma che si è esteso in tutto il Paese, mettendo in evidenza mali, difficoltà e contraddizioni di uno Stato chiave nella geopolitica del Medio Oriente.

Il 2017 ha visto infatti la rielezione, a larga maggioranza, del moderato e riformista Hassan Rohani a Presidente dell’Iran, cosa che, se da una parte sottolinea e riconferma l’aspirazione di una parte consistente della popolazione ad una maggiore apertura del proprio Paese verso l’esterno e verso l’Occidente, dall’altra rende ancor più problematico il rapporto di forza interno  fra  conservatori, moderati e riformisti.

E’ stata una rielezione inoltre che ribadiva il sostegno degli elettori di Rohani all’accordo sul nucleare del 2015,  nella speranza che l’alleggerimento delle sanzioni si traducesse in un adeguato  sviluppo economico e portasse il Paese ad adottare quelle riforme necessarie per uscire da un pesante isolamento internazionale.

Se, da una parte, le ricadute attese dall’accordo sul nucleare hanno tardato e tardano tuttora a produrre gli effetti desiderati, dall’altra, l’arrivo di Trump alla Casa Bianca non ha certamente sostenuto la politica di apertura di Rohani, né incoraggiato il ritorno e la fiducia degli investimenti stranieri a supporto dello sviluppo economico del Paese. Non solo, ma l’atteggiamento ostile di Trump che individua ancora nell’Iran un anacronistico “asse del male”, rispolverando vecchie accuse di Paese responsabile del terrorismo, è destinato ad inasprire le tensioni regionali in Medio Oriente, dove l’influenza iraniana è andata fortemente consolidandosi, in particolare in Siria, in Iraq ed oltre.

Ed è su questi scenari che si sono innescate le recenti proteste, le quali, esprimevano, in primo luogo, le profonde frustrazioni economiche e politiche di una popolazione composta per più della metà da giovani al di sotto dei 30 anni e di cui almeno il 25% è disoccupato. Frustrazioni che, per la prima volta, non attribuivano alle sole sanzioni internazionali la responsabilità della situazione economica, ma denunciavano precise responsabilità politiche interne e una forte corruzione del potere; accusavano il Governo di condurre una politica estera  troppo costosa e rivendicavano  maggiore libertà e concrete prospettive per il futuro.

Le autorità di Governo, tra sospetti e diffidenze sulle motivazioni e sul propagarsi delle proteste, hanno risposto con una repressione violenta che ha portato ad una ventina di vittime e centinaia di persone arrestate. Un aspetto questo che ha sollevato non solo grandi inquietudini nella comunità internazionale ma anche una differenza di approcci, in particolare fra Stati Uniti ed Unione Europea.

Gli Stati Uniti hanno reagito riconfermando una posizione estremamente dura nei confronti dell’insieme del Governo di Teheran. I tweet di Trump auspicavano un cambiamento di regime, promettevano un indefinito sostegno alle proteste e ignoravano i tentativi di apertura e le difficoltà del Presidente Rohani nei confronti di quella parte più conservatrice e dura del regime iraniano.

Da questa posizione si è decisamente dissociata l’Unione Europea che ha sottolineato invece la necessità di un dialogo “franco e rispettoso” con l’Iran e di utilizzare tutti i canali diplomatici per far luce sui recenti avvenimenti, sulle attese della popolazione e sul rispetto del diritto a manifestazioni pacifiche, come previsto dalla Costituzione iraniana. Non solo, ma cosciente della complessità della situazione politica dell’Iran in un contesto regionale ad alto rischio per la pace, l’Unione Europea ha dichiarato di voler continuare il suo dialogo con il Presidente Rohani e a sostenere ogni tentativo volto a rafforzare il processo di riforme economiche e democratiche richiesto dalla popolazione.

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