E neanche l’Europa sta tanto bene

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Mentre l’Italia si dibatte nell’incertezza politica in cui l’ha gettata il voto del 4 marzo, l’Unione Europea continua a navigare a vista nel mare mosso di un mondo apparentemente fuori controllo nel quale si affaccia minaccioso il protezionismo di Trump, con Russia e Cina sottomesse a padroni politici a vita e con la vicina Africa dove si continua a morire, che si scappi in Europa o si resti a casa propria. A molti questa Europa sembra ancora un’isola felice, ma cominciano a essere tanti quelli che si chiedono quanto potrà ancora durare questa eccezione, dove la vita democratica dà chiari segni di stanchezza, l’economia risente del peso di settori maturi poco competitivi, il welfare è sotto pressione e i diritti fondamentali sembrano in lenta ma costante erosione mentre cresce l’oblio di elementari doveri di convivenza civile.

Sarebbe il momento per l’UE di serrare le fila, cercare compattezza e coesione e parlare nel mondo a una voce sola per difendere interessi e valori e ridiventare un “attore globale”, anche se di dimensioni e profilo diverso rispetto a un passato che non tornerà più. E invece sembra capitare il contrario. Sul fronte sempre caldo della gestione delle finanze pubbliche, otto Paesi dell’UE centro-settentrionale, guidate dall’Olanda, ma guardate con simpatia anche da Paesi limitrofi, si sono schierati in favore di una prosecuzione delle politiche di rigore, pronti ad arginare la domanda di flessibilità in arrivo dai Paesi del sud, Italia e Francia in testa. Inevitabile in questa situazione guardare alla Germania, naturale arbitro in un contenzioso del genere. Il nuovo governo tedesco non sembra orientato a rinunciare alle regole di austerità imposte da anni, come nel caso dello sciagurato “Fiscal compact”, al massimo a temperarle in segno di apertura verso la domanda di Emmanuel Macron per l’avvio di una politica economica comune. Senza tuttavia dare per scontata una risposta positiva alla proposta francese, condivisa finora dall’Italia, di creare un ministro delle finanze europeo e un bilancio per l’eurozona e dare vita a un “Fondo monetario europeo”.

Si sperava che il Consiglio europeo del prossimo 22 marzo potesse coincidere con l’inizio di una seppur incerta primavera anche per l’UE: ad oggi tutto sembra indicare, meteo compresa, che ci vorrà ancora pazienza. Il panorama attuale UE registra non poche ombre: troppo in ritardo si è formato un contrastato governo tedesco, qualche colpo qua e là l’ha preso anche il Presidente francese, lontana da una soluzione la vicenda catalana, duro il confronto in corso sullo Stato di diritto con la Polonia, in alto mare la trattativa Brexit e peggiore del previsto il risultato elettorale in Italia.

Al momento è quest’ultimo tema che tiene banco nelle Istituzioni comunitarie, dove dell’Italia si parla poco pubblicamente, ma molto ci si interroga. Sulle prospettive economiche italiane ci sono stati solo alcune sobrie ma chiare messe in guardia da parte della Commissione e della Banca centrale europea, entrambe preoccupate del rischio ingovernabilità per l’Italia e dell’impatto che tale situazione potrebbe avere sull’eurozona. Nei corridoi qualcuno sussurra di un “rischio Grecia” per il nostro Paese, anche se il paragone è per ora del tutto fuori misura, come lo sarebbe nel caso si dovesse malauguratamente avverare: il peso economico e finanziario dell’Italia nell’eurozona, nel bene e nel male, non è assimilabile a quello della Grecia, ma il fatto che se ne parli non è un buon segno. Soprattutto in una stagione come questa, nella quale di buoni segni per l’UE non se ne vedono tanti.

E pensare che proprio questa era stata pronosticata come la stagione del rilancio dell’Europa.

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