Dove va la politica italiana in Europa

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Ha fatto molto discutere la reazione di Matteo Renzi alla chiusura del Vertice UE di Bratislava del 16 settembre scorso. Scontento dell’andamento del confronto tra i Ventisette e ancor più delle sue conclusioni, ii Presidente del Consiglio non ha nascosto la sua irritazione, non partecipando alla conferenza stampa finale di Angela Merkel e di François Hollande e rilasciando dichiarazioni irrituali nel tono e molto critiche per il loro contenuto.

Alle esternazioni di Renzi non sono mancate le reazioni, in particolare in Italia, molto meno nel resto d’Europa che le ha archiviate senza darvi troppo peso. E non è un caso, perché si è rapidamente capito che il messaggio era destinato prevalentemente all’Italia, oltre che ai “padroncini” d’Europa.

Ma riassumiamo l’accaduto. A Bratislava i Ventisette avrebbero dovuto cominciare ad indicare la rotta dell’Unione Europea dopo la svolta inglese di Brexit, adottare un’agenda per il rilancio dell’UE e mandare primi segnali su nuovi orientamenti politici.

E’ stata adottata solo l’agenda  per lavorare a una nuova Europa con appuntamento finale – parola grossa, vista l’estenuante tattica dei rinvii – il prossimo 25 marzo, quando a Roma si terrà un Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo in occasione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, patto fondativo dell’attuale Unione Europea.

Sono state invece deludenti le conclusioni per altri due temi centrali, quali le azioni per uscire dalla crisi e gli orientamenti per l’accoglienza di migranti e profughi, due temi di grande rilievo per l’Italia e per la tenuta della maggioranza, già alle prese con i rischi connessi all’esito del referendum sulla riforma costituzionale.

La sostanziale linea del rigore su conti pubblici e l’esaurimento per l’Italia dei margini di flessibilità (confermato a Bratislava e ancora ricordato dal Presidente della Commissione europea l’altro giorno a Milano) porranno seri problemi all’adozione della prossima legge di bilancio, in difficoltà a ridurre il deficit annuale e, più ancora, il debito consolidato che, in assenza di crescita, continua a lievitare.

Anche più insopportabile per l’Italia l’assenza di aperture sull’accoglienza dei migranti che si riversano in Europa ai suoi confini meridionali e sulla proposta di un piano di investimenti in Africa, che pure era stato ripreso da Jean Claude Juncker nel suo “Discorso sull’Unione”.

Renzi aveva ragioni da vendere per essere insoddisfatto nel merito dei contenuti di Bratislava, molto deluso dopo le parole di comprensione di  Merkel e Hollande durante l’estate, dall’incontro di Ventotene in poi.

Adesso il problema non è solo questo, ma piuttosto valutare quanto la reazione di Renzi di procedere “da solo” su questi fronti, anche senza un accordo dell’UE, sia praticabile e come questo infletta la politica, finora tradizionalmente “europeista”, dell’Italia, candidata a svolgere un ruolo di protagonista nel Vertice di Roma il marzo prossimo. E quanto questo possa ipotecare il futuro di un possibile fragile Direttorio UE guidato dalla Germania, affiancata da Francia e Italia. Vi è chi, esagerando, vi vede già una ricaduta nell’esclusione di Renzi dall’incontro di Berlino, del 28 settembre, di Angela Merkel con il solo – e, in Francia, sempre più solo – François Hollande e con il fedele Jean Claude Juncker.

Sul versante italiano è probabile che Renzi stia cercando di allargare il consenso anche in aree critiche con l’UE, per non lasciare che siano un terreno di caccia della sola opposizione.

Sembra di capire che la politica dell’Italia in Europa si stia incamminando sul sentiero stretto tra la ricerca di consenso presso gli elettori italiani (solo il 27% ha ancora molta fiducia nell’Unione Europea) e la necessità di rimanere in squadra con chi nell’UE conta e dei quali l’Italia ha bisogno.

Anche in Europa, e non solo in Italia, è molto rischioso navigare tra Scilla e Cariddi.

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