Crisi dei mercati: Francoforte-Roma via Berlino

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Estate anomala quella del 2011 non soltanto per ragioni meteorologiche ma anche per le turbolenze finanziarie che richiedono frequenti (e spesso irrituali) interventi da parte dei massimi responsabili nazionali e comunitari della politica e dell’economia ai quali non sempre i mercati sembrano reagire come ci si aspetterebbe.
Così se le dichiarazioni rilasciate dal presidente della Commissione Europeao Josà© Manuel Barroso e dal commissario agli Affari economici Olli Rehn nella giornata di giovedì 4 agosto, mentre tutto sembrava colare a picco, hanno consentito una limitazione del danno nel giorno successivo (con perdite più contenute e, in qualche caso con lievi rialzi), non sembrano avere certo invertito la tendenza nà© sgombrato il campo da volatilità   e nervosismo che sono oggi le caratteristiche salienti dei mercati, appena attenuate dalle buone notizie giunte da Oltre – Atlantico in tema di occupazione (117.000 nuovi posti di lavoro nel luglio 2011).
Decisamente più incisive – ma lo si vedrà   alla riapertura dei mercati – potrebbero essere le dichiarazioni del presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Jean-Claude Trichet che ha dapprima annunciato la «ripresa del programma di acquisto di titoli di Stato sospeso a marzo» chiarendo perಠche tale ripresa avrebbe riguardato soltanto titoli irlandesi e portoghesi e soltanto per qualche centinaio di milioni di euro e poi, solo dopo aver ottenuto «precise garanzie» dai governi di Roma e Madrid, ha aperto a possibili acquisti di titoli spagnoli e italiani che non saranno illimitati nel tempo (dureranno soltanto sino all’entrata in vigore del nuovo Fondo salva-Stati) e che, se non altro per ragioni quantitative, non potranno avere lo stesso impatto esercitato sui debiti sovrani di Irlanda e Portogallo.
Negli ultimi dieci mesi, infatti, la Banca Centrale Europea ha realizzato interventi per 75 miliardi a favore di Grecia, Portogallo e Irlanda finanziando il 15-20% del debito di ciascun Paese mentre nel solo mese di settembre l’Italia da sola avrebbe bisogno di un importo analogo per finanziare le proprie scadenze di debito e l’importo complessivo del debito di Italia e Spagna ammonta a 2.200 miliardi di euro, il che significa che per finanziarne anche solo il 10% sarebbe necessario acquistare titoli per 200 miliardi di euro che poi andrebbero «sterilizzati» cioè non rimessi in circolazione per evitare conseguenze inflattive.
Come da tradizione e nel rispetto del suo ruolo di garante della stabilità   dell’euro e dei livelli di inflazione (ma non degli investimenti come avviene ad esempio per la Federal Reserve statunitense) la BCE ha giocato in queste giornate roventi un ruolo prudente, forte e cruciale.
Secondo alcuni commentatori infatti è stato proprio il fatto che la BCE non sia intervenuta quando le acque dei mercati si sono fatte agitate, a scatenare l’inferno che sarebbe «servito» a vincere le resistenze della Germania e a consentire la riapertura delle operazioni di acquisto di titoli dei debiti sovrani in cui Italia (e Spagna) soltanto quando Palazzo Chigi, oggetto di molte pressioni esercitate tra gli altri dalla stessa Angela Merkel, (a quel punto più preoccupata dai rischi del naufragio che dalla partecipazione al salvataggio dell’euro) ha accettato le quattro condizioni poste da Francoforte: anticipo del pareggio di bilancio al 2013, inserimento del vincolo del pareggio nella Carta costituzionale, modifica dell’articolo 41 della Costituzione tesa a consentire programmi di privatizzazione, e riforma del mercato del lavoro.
Diranno le prossime settimane se le turbolenze sono destinate a placarsi, anche se le notizie provenienti dagli USA (declassamento degli Stati Uniti da parte di Standard & Poor’s) e dalla Cina che in quanto creditore principale, chiede a Washington chiarezza, lasciano prevedere una riapertura dei mercati tutt’altro che tranquilla in una situazione in cui bisognerà   anche vedere quanto credito i mercati daranno agli annunci del governo italiano che, almeno per ora hanno suscitato più critiche che entusiasmi a livello nazionale (soprattutto perchà© privi di qualsiasi riferimento a misure che favoriscano la crescita, ormai universalmente riconosciute come essenziali per invertire la tendenza) e continuano a lasciare dubbiosi anche i leader europei.

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