Cambio alla guida del Parlamento europeo

1748

Tajani è il nuovo presidente.

Succedeva ogni due anni e mezzo, questa volta il turno di presidenza al Parlamento europeo si conclude dopo cinque anni con la partenza del socialista tedesco Martin Schulz e la sua successione, per la prima volta, non è stata concordata tra i due principali gruppi politici a Strasburgo, quello dei popolari europei (PPE) e quello dei socialisti e democratici (S&D). È una novità non da poco e merita di essere raccontata, insieme con l’evoluzione del Parlamento europeo nella storia del processo di integrazione continentale.

Quando venne tenuta a battesimo con la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), all’istituzione parlamentare europea fu dato il nome di “Assemblea”, meno impegnativo di quello di “Parlamento”, adottato solo nel 1979 in occasione della prima elezione a suffragio universale diretto. Prima di allora, l’Assemblea era formata da parlamentari nazionali inviati a Strasburgo dai partiti con designazioni di secondo livello, senza alcuna partecipazione popolare. Una situazione che conobbe una discutibile coda ancora fino al 2004 con la possibilità per i parlamentari europei di occupare due seggi, quello europeo e quello nazionale, con le conseguenze immaginabili per la serietà dei lavori.

Da quegli anni molta acqua è passata sotto i ponti e molta strada ha fatto il Parlamento europeo: si è modificata la sua composizione e organizzazione interna, soprattutto è molto aumentato il suo potere decisionale. Pur non essendo ancora comparabile al potere – peraltro un pò ovunque malmenato – dei Parlamenti nazionali, quello europeo ha raggiunto con il Trattato di Lisbona, attualmente in vigore, un livello non indifferente di capacità co-legislativa in collaborazione, non priva di tensioni, con l’altro e più potente co-legislatore, il Consiglio dei ministri UE. Particolarmente rilevante il suo potere in materia di bilancio UE, per il quale detiene la titolarità della firma per la sua adozione finale.

Ma se molta strada è stata fatta, molta ancora resta da fare. Non solo perché diventi un Parlamento a tutti gli effetti, con i poteri che ne derivano, ma anche per rafforzare la sua credibilità e la sua sintonia con i cittadini-elettori. Basta uno sguardo attento ai profili e ai comportamenti dei nostri europarlamentari locali per capire come si aggirino per noi a Strasburgo stature modeste, fiere di raccontarsi come presunti procacciatori di fondi europei per clienti e amici, senza che emerga per molti di loro un ruolo significativo nel processo di elaborazione delle politiche comunitarie, loro compito prioritario.

In questo quadro è avvenuta l’elezione del nuovo Presidente del Parlamento europeo, preceduta da giochi di palazzo che hanno visto come sprovveduto protagonista Grillo e alcuni suoi fidi scudieri, alla ricerca di un ruolo mai avuto e che difficilmente avranno con le loro confuse oscillazioni politiche, autoescludendosi da gruppi politici che contano e dai loro ghiotti finanziamenti.

Tutte vicende a cui ci siamo purtroppo abituati,  ma che non devono farci dimenticare la novità della svolta in corso: per la prima volta è saltato il tradizionale “condominio” tra popolari e socialisti che si erano abituati da anni a spartirsi a turno quella prestigiosa poltrona. Ciò è avvenuto per la squilibrata distribuzione di altre due poltrone, la presidenza della Commissione europea e del Consiglio europeo, a due esponenti, Juncker e Tusk, entrambi del Partito popolare europeo: una situazione che ha messo fine, almeno per ora, a una stagione “consociativa” che non faceva bene alla vita politica dell’UE, immersa nelle nebbie di intese poco trasparenti per i cittadini europei.

Su questa nuova dialettica politica si erano impegnati in particolare i due principali contendenti italiani, Antonio Tajani dei popolari e Gianni Pittella dei socialisti: il primo molto vicino a Berlusconi e sotto stretta sorveglianza tedesca, il secondo del Partito democratico italiano e visto con favore dai parlamentari riformisti e della sinistra, tradizionale e movimentista.

A fare la differenza il voto dell’area euroscettica e populista e dei conservatori protetti anche dalla segretezza del voto e intenzionati a contrastare un nuovo corso politico nell’UE: probabilmente anche questo spiega l’elezione di Antonio Tajani, oltre alla sua appartenenza a un PPE a trazione tedesca. Non è un voto che cambia la storia dell’UE e tuttavia introduce un ulteriore tocco di politicizzazione ad una Istituzione incamminata a diventare un vero Parlamento. Ci saranno probabili scossoni ad altre poltrone e qualche cambiamento ai vertici istituzionali UE non è da escludere.

Nella “provincia” politica italiana quello che resta di Forza Italia proverà a intestarsi finalmente un successo dopo un lungo periodo di magra, ma nemmeno da noi questa elezione cambierà il corso della storia. Ben altri sono gli avvenimenti che provocheranno turbolenze in Italia e verranno più probabilmente da Berlino, Londra e Bruxelles, se non addirittura da oltre oceano.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here