L’Europa che non esiste

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Se fosse stata necessaria la prova che l’Europa dei popoli ancora non esiste, l’ondata di migrazioni che la sta investendo ormai da tempo questa prova l’ha fornita con tutta evidenza.

Non che non esista l’Europa delle Istituzioni comunitarie, quella della politica comune dell’agricoltura e del commercio internazionale o, per diciannove suoi Paesi, quella della moneta e, per tutti i ventotto Stati membri, quella del mercato unico.

Quella che non esiste è l’Europa dei popoli. Esistono i popoli d’Europa, anche più numerosi degli Stati che dovrebbero rappresentarli, ma non uno spazio comune di condivisione di valori essenziali, a cominciare da quelli a salvaguardia dei diritti fondamentali, non solo per i cittadini europei, ma per tutte le persone partecipi della nostra stessa umanità e che vivono sul territorio europeo.

Sono anni ormai che, in particolare nel Mediterraneo, affondano i barconi dei disperati e che si moltiplicano le vittime, ma c’è voluta nei giorni scorsi l’ondata di flussi migratori alle frontiere terrestri perché finalmente anche i più ciechi ammettessero che siamo di fronte a un evento epocale che coinvolge ormai tutti i Paesi UE, fino a dichiarare che siamo di fronte a un problema “europeo”. Che non vuole ancora dire che si tratta di un problema dell’Europa, per ora solo della somma dei suoi Paesi, peraltro ognuno con proprie reazioni nazionali, ancora lungi da essere coordinate.

L’Europa dei migranti non esiste se ad affrontare, almeno a parole, l’argomento si incontrano Angela Merkel e François Hollande, con gli altri ventisei loro colleghi in attesa di istruzioni, quando non di rimproveri, come quelli indirizzati alla Grecia e all’Italia.

E il mite Jean-Claude Junker, Presidente della Commissione UE, ha un bel denunciare che l’Europa non può essere quella dei muri, ma poco pesa il suo appello in nome di un’Europa che non c’è.

Non sbaglia chi annuncia che da questa situazione o uscirà un’altra Europa o l’Unione Europea rischia di declinare fino a scomparire.

E l’”altra Europa”, che ancora in molti vogliamo, potrà rinascere solo dai suoi popoli, quando finalmente comprenderanno che in questo villaggio globale del mondo nessuno starà a galla da solo, come dimostrano in questi giorni le turbolenze che agitano il mondo, tanto sul versante economico e finanziario che su quello politico.

E quando si parla dei “popoli d’Europa”, non si parla solo di quelli indigeni e di nazionalità europea, ma anche dei popoli che ci hanno raggiunto nel tempo e che continuano – e continueranno – ad arrivare tra di noi anche da Paesi lontani.

E verrà il giorno in cui si capirà finalmente che “nazionalità” e “cittadinanza” non necessariamente coincidono e che tutti debbono diventare “cittadini”, qualunque sia la loro nazionalità, se condividono valori e regole delle terre che abitano.

D’altra parte questa è la storia “lunga” dell’Europa: una piccola penisola del mondo progressivamente abitata e costruita anche da popoli venuti da fuori, che hanno contribuito alla nostra storia e che ne sono divenuti naturalmente cittadini.

È anche grazie alle molte “invasioni” di secoli lontani che l’Europa, piccolo promontorio dell’Asia, è diventata una civiltà ricca di arte e culture che sono state un modello per il mondo.

Molto tempo è passato da allora e molto tempo ancora ci vorrà perché una nuova Europa rinasca, con il contributo di tutti, indigeni e no.

1 COMMENTO

  1. Mi ritrovo dalla (a) alla (z) nelle sue considerazioni e riflessioni che necessitano ampia divulgazione per costruire l’europa partecipata dei popoli che scelgono di continuare a vivere e approdare nei nostri territori. Non certo l’Europa limitata alle coperture unicamente istituzionali comunitarie per un “mercato ” che se necessario non potrà’ mai so ddisfare – sregolato – la convivenza sociale dei popoli che intendono non sopravvivere ma “vivere” con il lavoro, contrttato e partecipato

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