L’Unione Europea alla guerra di Troia

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Se su una vicenda, dagli esiti comunque drammatici, come quella della crisi finanziaria greca si potesse sorridere, verrebbe la tentazione di richiamare alla mente la guerra di Troia e i miti che l’hanno raccontata, le pagine omeriche in particolare.

Perché qualcosa di omerico c’è stato nella lunga battaglia che ha coinvolto da una parte i governi della Grecia, in questi ultimi cinque anni, e quello attuale di Alexis Tsipras, in questi ultimi cinque mesi. Sempre che non si voglia risalire più lontano, a quando nel 1981 la Grecia fece il suo ingresso nell’Unione Europea, reduce dalla dittatura dei colonnelli, per poi entrare nell’euro nel 2002.

Molto si è parlato in questi giorni di una possibile fuoruscita della Grecia dall’euro, se non addirittura dall’Unione Europea; nessun accenno ad una sua eventuale fuoruscita dalla NATO (la Grecia vi era entrata fin dal 1952, insieme con la Turchia), come forse ha pensato qualcuno in segreto di fronte alle recenti intese da Tsipras cercate, ma solo in parte trovate, con la Russia di Putin.

Abbiamo visto, schierati a battaglia, da una parte la Grecia e dall’altra la Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo mondiale internazionale), un po’ ipocritamente ribattezzata ‘Istituzioni’: negoziati tirati in lungo per cinque mesi dal nuovo governo greco, nato dalle elezioni del gennaio 2015, con i suoi creditori decisi a rientrare dei loro prestiti prima di proseguire nel sostegno della Grecia, indebitatasi sempre di più anche grazie alla cura di austerità da cavallo, imposta soprattutto dalla Germania.

Da una parte e dall’altra una spirale di errori e una condivisione di responsabilità che, esercitate in positivo, avrebbero aiutato la Grecia a trovare il cammino verso la ripresa economica e i creditori a ritrovare qualcosa dei crediti concessi. Purtroppo oggi il risultato è di tutt’altro segno: la Grecia affondata nella crisi e i creditori con poche speranze di recuperare i loro crediti. E di qui adesso bisognerà ripartire: rinunciare, almeno parzialmente, da parte dei creditori a portare a casa, alle scadenze previste, tutti i crediti concessi – in gergo si chiama “ristrutturare” il debito – e consentire alla Grecia di riprendere il cammino della crescita e ritrovare una speranza in seno all’eurozona e all’Unione Europea. Una soluzione che si sarebbe potuta a minor costo trovare prima, considerato che la Grecia rappresenta appena il 2% della ricchezza complessiva europea e, dopo tutti questi anni di logoranti battaglie, anche di meno. Adesso però è inutile piangere sul latte versato, ma non è inutile cercare di capire quello che è avvenuto per fare meglio in futuro, anche se fare peggio è difficile.

E qui ritorna il mito della guerra di Troia, delle tante vittime cadute nei due campi, di Ulisse che riparte alla ricerca della sua casa e delle sue origini, dopo aver vinto la battaglia finale grazie allo stratagemma del cavallo introdotto nottetempo nella città assediata. Fuor di metafora: la contesa si è conclusa, la battaglia con i greci è provvisoriamente finita, l’Europa ha dentro le sue mura un cavallo di Troia  pieno zeppo di problemi da affrontare, primo tra questi la convivenza tra le deboli democrazie nazionali e il potere delle Istituzioni internazionali. Adesso a tutti noi tocca, come a Ulisse, ritrovare la strada di casa, le origini della nostra cultura e quelle del progetto europeo, superare mille ostacoli e inganni e tornare a Itaca, a eliminare i Proci che vi si erano infiltrati, in una parola a mettere ordine nella nostra casa comune.

Per ricostruire la casa dell’Unione Europea.

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