Unione Europea: dentro e/o fuori

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Viene il tempo, nella vita delle persone e in quella delle comunità, di non stare più sulla soglia, il tempo di entrare o di uscire o, almeno, di fare un passo chiaro in un senso o nell’altro.

Succede anche all’Unione Europea, ai suoi Paesi membri, ai loro governanti, ma anche ai suoi cittadini e a quanti suoi cittadini vorrebbero diventare e ancora non sono.

Stanno sulla soglia d’Europa, quando ci arrivano, centinaia di migliaia di migranti in attesa di un riconoscimento, di un diritto d’asilo e di un’accoglienza che li faccia entrare nello spazio di una cittadinanza a pieno titolo e non solo di una residenza precaria, quando non irregolare.

Stanno sulla soglia milioni di persone senza lavoro e molti di essi – tra i quali troppi bambini – in condizioni di povertà, esclusi dalla vita attiva di comunità impaurite e senza generosità, oltre che con poco senso della giustizia.

Stanno sulla soglia dell’Unione Europea anche Paesi che hanno contribuito a fare l’Europa, ma che dell’UE non fanno parte, come da tempo vorrebbero. A loro, nell’attesa di capire se staranno dentro o fuori, l’UE ha offerto un’anticamera, quella della “Politica di vicinato”: vi si affollano Paesi europei come quelli del Caucaso del sud e dell’Ucraina e quelli dell’area mediterranea, mentre sono costretti a pazientare – ancora qualche anno, almeno – i Paesi candidati dei Balcani, per non parlare della Turchia che ormai sembra aver voltato le spalle all’UE, con la quale prosegue comunque un difficile negoziato di adesione. Era sulla soglia per entrare e si è ritratta all’ultimo momento l’Islanda, gelosa della sua indipendenza e delle sue zone di pesca. È da tempo sulla soglia dell’UE la Svizzera, gelosa della sua piazza finanziaria, dove si va erodendo pericolosamente – per lei – lo scudo redditizio del segreto bancario.

Stanno dentro l’UE, ma incerti sulla soglia, due Paesi alla periferia del continente: la Gran Bretagna e la Grecia. La prima arrivata nel 1973, dopo lunga anticamera; la seconda nel 1980, dopo aver subito la “dittatura dei colonnelli”.

Adesso la Gran Bretagna sembra esitare se rimanere o andarsene. Le elezioni del 7 maggio manderanno un segnale: se vinceranno i conservatori il rischio di un’uscita cresce e la risposta verrà da un referendum nel 2017, se vinceranno i laburisti la Gran Bretagna resterà nell’UE, mezza fuori e mezza dentro. E se, come probabile, non vincerà nettamente nessuno allora sarà anche peggio.

Soffre intanto la Grecia, che nell’Unione Europea vorrebbe restare e sa di avere tutto l’interesse a farlo, ma sono tanti i Paesi UE diffidenti tentati di spingere fuori un guastafeste che tarda a mettere ordine nei suoi conti e che intanto svela, a chi vuole vedere, i danni economici e sociali causati da una politica europea ottusa, ossessionata dalla sola austerità e senza visione di avvenire, per sé e per i suoi Paesi più deboli.

Sta nell’Unione Europea, fin dalla sua fondazione, l’Italia, per ora lontana dalla soglia ma ancora troppo sui margini: ancora incerta la sua credibilità politica, grande la sua fragilità finanziaria, debole la sua economia, drammatica la situazione della disoccupazione salita al 13%, quella giovanile oltre il 43%.

E così non può più stare sulla soglia a guardare, e ad “auspicare”, l’Unione Europea: l’ora del coraggio è venuta, e da tempo, di entrare nei problemi dei suoi popoli e cercare soluzioni concrete per tornare a creare sviluppo e lavoro, riconquistare i suoi cittadini, accogliere quelli che arrivano da lontano, dove imperversano guerre e fame. Solo così l’UE rifarà il suo ingresso nel mondo, da dove si è troppo assentata negli ultimi tempi.

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