Mediterraneo, mare d’Europa

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Si è consumata nel Mediterraneo l’ennesima strage di migranti, forse la più importante per numero di vittime mai registrato finora. Una strage annunciata, che proprio per le sue dimensioni e i suoi risvolti apocalittici, scuote di nuovo l’Europa e la riporta di fronte a responsabilità politiche ed umanitarie mai coerentemente e coraggiosamente affrontate finora. Una strage annunciata non solo perché la situazione sulla sponda Sud del Mediterraneo non è né cambiata, né migliorata, anzi, ma anche per gli strumenti inadeguati messi in campo dall’Europa e dall’Italia dopo l’ultima grande strage dell’ottobre 2013 (circa 400 vittime). È impressionante infatti il cinismo con cui l’operazione Mare Nostrum, interamente sostenuta con coscienza dall’Italia, è stata sostituita con l’operazione europea Triton e questo per due fondamentali ragioni: la prima essenzialmente a causa dei costi, per l’Italia, di Mare Nostrum e la seconda, perché la missione di salvataggio in mare rischiava di essere un pericoloso incoraggiamento per i migranti ad intraprendere “il viaggio”. La realtà e le dimensioni di questi ultimi naufragi smentiscono definitivamente questo miserabile approccio e mettono ulteriormente a nudo tutta la complessità della drammatica situazione politica che sconvolge i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, fino al cuore profondo dell’Africa.

È infatti importante ricordare da dove fuggono questi migranti, ormai vittime dei trattamenti disumani e dei pericoli a cui devono andare incontro: vengono dall’Africa subsahariana, dal Mali, dalla Nigeria, dalla Somalia, dall’Etiopia, dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan e da più lontano ancora. Una lunga lista di Paesi in guerra, in preda a forti instabilità politiche, attraversati dal terrorismo o da nuove “guerre sante” che sembrano saldarsi sempre più fra loro, in un’unica ragnatela composta da organizzazioni che operano con la violenza, con i traffici di essere umani, con l’esasperazione delle differenze religiose, come dimostrano, da un po’ di tempo a questa parte, l’intolleranza e la ferocia nei confronti dei cristiani. Sono situazioni intollerabili, spesso accompagnate da condizioni economiche disastrose per la stessa sopravvivenza e che spingono inevitabilmente alla fuga, costi quel costi raggiungere un lembo di terra ospitale, in grado, se possibile, di offrire una prospettiva di vita dignitosa. Ed è appunto dietro questi scenari che si consuma la disperazione di milioni di persone, alla distanza di un braccio di mare dall’Europa, sull’altra sponda di quel Mare Nostrum che fa da spartiacque fra la vita e la morte. L’Europa quindi testimone e spettatrice di una tragedia che inizia già nei Paesi d’origine dei migranti e dove il passaggio in mare è solo l’ultimo atto. Ed è sull’insieme di questi viaggi e dei suoi vari aspetti che è necessario parlare di responsabilità dell’Europa, senza limitarla ad una mancata solidarietà fra gli Stati membri nei soccorsi in mare o nell’accoglienza.

Oggi il punto di partenza dei migranti è in particolare la Libia, un Paese che dalla guerra della NATO nel 2011, con in prima fila alcuni Paesi dell’Unione Europea, come Francia e Gran Bretagna, è in preda al caos politico e istituzionale e alla guerra civile e dove il terrorismo, la lotta fra milizie e bande armate ha generato anche il più grande traffico di esseri umani fra l’Africa e l’Europa. Ed è proprio a partire dalla Libia che l’Unione Europea, di concerto con l’ONU, è chiamata a proporre, finché possibile, soluzioni politiche intensificando le iniziative diplomatiche per fermare quella pericolosa instabilità e il redditizio e vergognoso sfruttamento degli esseri umani. Sarà per l’UE un primo passo per riconsiderare le sue politiche e l’insieme dei suoi rapporti con un mondo, oggi, in pericolosa e incontrollabile evoluzione alle nostre porte di casa.

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