Prove di democrazia alle frontiere dell’Europa

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È stata una giornata, lo scorso 26 ottobre, dedicata a significative elezioni sia a Sud che a Est dell’Europa, in Tunisia e in Ucraina, in due contesti regionali diversi ma entrambi profondamente segnati da un’inquietante instabilità politica e di sicurezza.

La Tunisia ha chiamato al voto, per la seconda volta dopo la caduta del regime di Ben Ali, i suoi cinque milioni di elettori per eleggere i 217 membri dell’ Assemblea nazionale. Uno scrutinio che si è svolto in un clima di rispettosa competizione fra le molteplici liste e candidati in gara e con una discreta affluenza alle urne, anche se meno importante di quella registrata nelle scorse elezioni del 2011, dove il partito d’ispirazione islamica Ennhada era arrivato in testa. I risultati di domenica scorsa, che hanno visto invece una sconfitta di Ennhada e una vittoria dello schieramento laico Nidaa Tounes recentemente costituito, testimoniano di un passo importante nella transizione politica e democratica del Paese, non solo per il riconoscimento dei risultati elettorali e di una sanzione nei confronti di un modo di governare, ma anche per il fatto che queste elezioni erano volte a confermare l’assetto istituzionale del Paese, nato con la Costituzione adottata con faticoso consenso all’inizio dell’anno. La Tunisia procede quindi a scrivere la sua nuova storia dopo la Rivoluzione dei gelsomini, unico Paese della regione ad aver evitato, pur tra mille difficoltà, i risvolti drammatici di altre Primavere arabe. Ma le sfide che dovrà affrontare il Paese, da molti definito “start up democratica” sono molte e di taglia. Al suo interno, oltre al consolidamento della transizione politica e al contenimento di possibili tentazioni islamiste, sono la situazione economica, la disoccupazione, la mancanza di investimenti a fragilizzare pericolosamente il Paese; all’esterno, al confine con la Libia, è tutto il contesto di destabilizzazione in corso nell’intera regione a premere sulla sua sicurezza e sulla sua tenuta. Nemmeno la Tunisia, Paese tradizionalmente laico, è infatti al riparo da quella deriva jihadista che insanguina il medio Oriente, se si pensa che ad oggi, più di 3.000 giovani tunisini hanno già aderito alla guerra dello Stato islamico.

Elezioni anche in Ucraina, dove, senza troppo sorprese, il Paese ha consistentemente votato per un suo futuro rivolto all’Europa. In un contesto di guerra civile al suo interno e di grande tensione con la vicina Russia di Putin, l’Ucraina ha confermato e legittimato quelle attese di cambiamento espresse nelle manifestazioni di Maidan, iniziate nel novembre scorso. Ma anche qui le sfide che si presentano per il nuovo Governo non sono indifferenti. In primo luogo si tratta di giungere ad una situazione di pace nell’est filorusso del Paese dove, malgrado i recenti accordi di cessate il fuoco, le armi continuano a parlare nelle mani dei separatisti. In secondo luogo, la necessità di risanare un’economia in gravi difficoltà, ulteriormente indebolita dalla guerra e sotto costante pressione dei ricatti russi sul prezzo delle forniture di gas. Infine, sarà necessario rispondere alle esigenze di riforma delle strutture dello Stato, dell’amministrazione pubblica e della giustizia e di intraprendere una decisiva lotta alla corruzione. Non poco per i vincitori di queste elezioni, il Blocco dell’attuale Presidente Poroshenko e il Fronte popolare del primo ministro Arseny Yatsenyuk.

Giorno di elezioni quindi di grande importanza alle immediate frontiere dell’Europa, non solo per i Paesi coinvolti ma per il futuro dell’Europa stessa. A Sud per la speranza che un piccolo Paese come la Tunisia, accerchiato dalla guerra in corso nell’area mediterranea e da una grande instabilità politica, possa continuare il suo cammino verso la transizione democratica. Ad Est perché l’Ucraina rappresenta anche una nuova frontiera fra Oriente e Occidente, fra Russia ed Europa e sulla quale dovranno ridisegnarsi nuovi rapporti e nuovi dialoghi, rivolti ad un futuro che parli di pace in un mondo in rapido cambiamento.

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