L’arma del terrore

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Si susseguono senza sosta nei media le immagini di inaudita violenza e feroce determinazione dello Stato islamico (IS). La collera, il disgusto e il sentimento di impotenza che nascono di fronte a tanto orrore sono probabilmente all’altezza dell’odio che anima questi giovani e spietati guerrieri.

La risposta della comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, è giunta dopo comprensibili incertezze. Riunita a Parigi il 15 settembre nel quadro della Conferenza internazionale di pace e sicurezza sull’Iraq, ha deciso di formare una grande coalizione di Stati per fermare militarmente e distruggere il disegno terroristico dello Stato islamico. Una vasta coalizione che, oltre agli Stati Uniti, alla Russia e a vari Paesi europei, tra cui l’Italia, ha cercato di coinvolgere, in un contesto di già grande instabilità e di opposizioni politiche e religiose, anche vari Stati della regione. Una strategia volta a conferire, a detta dei responsabili politici, maggiore legittimità all’intervento militare.

Presenti a Parigi infatti e disposti ad intervenire sotto forme diverse per fermare lo Stato islamico, l’Arabia Saudita, il Bahrein, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, la Giordania, il Kuwait, il Libano, l’Oman, il Qatar, tutti impegnati a fianco dell’Iraq per stroncare un disegno che potrebbe estendersi sui loro stessi territori. Una grande coalizione quindi occidentale e mediorientale i cui obiettivi militari, di coordinamento e di intervento, non ancora chiaramente definiti e basati solo sull’urgenza dell’intervento, andranno inevitabilmente a confrontarsi con gli interessi strategici e politici che ogni Paese persegue a lungo termine, con la prospettiva di un possibile e significativo cambiamento nell’assetto geopolitico della regione. E al riguardo, gli interrogativi sono tanti. Un primo interrogativo sorge nei confronti dell’Arabia Saudita e del Qatar e la loro ambigua politica attuale, volta a sostenere, senza troppi veli, un islam fondamentalista e estremista, tanto da alimentare ragionevoli dubbi sul loro sostegno allo stesso Stato islamico. Un secondo interrogativo, di una certa importanza, riguarda l’Iran. Escluso dalla Conferenza, l’Iran, sebbene abbia giudicato “illegittima” la coalizione definita a Parigi, gioca un ruolo di primo piano in questo scenario, non solo perché già impegnato a sostenere il governo sciita di Baghdad, ma anche perché, insieme alla Russia, non ha mai fatto mancare il suo appoggio al regime di Bachar al Assad in Siria. Un regime impegnato da tre anni a questa parte in una violenta guerra civile, di fronte alla quale l’Occidente ha dimostrato tutta la sua impotenza, e oggi confrontato anche alla presenza sul suo territorio dello Stato islamico. E se l’intervento militare sarà seguito da una fase politica, l’Iran rimane, che lo si voglia o no, l’unico Paese in grado di influenzare i due attori principali della lotta contro lo Stato islamico: Iraq e Siria, appunto. Senza dimenticare l’impatto che questa situazione avrà sui negoziati rimasti in sospeso fino al prossimo novembre relativi al programma nucleare iraniano. Un terzo aspetto riguarda il Kurdistan iracheno e il contributo dato finora dai peshmerga nella lotta contro lo Stato islamico. La domanda è: come si articoleranno, in futuro, le questioni relative alla sua piena indipendenza dall’Iraq e soprattutto quelle relative ai territori ripresi allo Stato islamico? Che ne sarà di un Iraq il cui futuro si prospetta diviso? Infine, giunge proprio all’indomani della composizione della coalizione internazionale, la notizia della reazione di Al Qaeda alla prospettiva degli attacchi militari. Una reazione che chiama ad una ritrovata unità nella lotta jihadista con lo Stato islamico, proposta in particolare da Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) e da quella nella Penisola Arabica (AQAP).

Questo, a grandi linee, lo scenario regionale, intrecciato ed estremamente complesso, con il quale avrà a che fare la coalizione internazionale. Se il primo obiettivo, militare, è quello di colpire lo Stato islamico, è tuttavia altrettanto urgente delineare le future strategie politiche che accompagneranno gli inevitabili cambiamenti negli equilibri e nella stabilità della regione. Ce lo ricorda costantemente la Libia che, a tre anni di un intervento militare senza seguito politico, è oggi sprofondata nella più grande e pericolosa instabilità non solo per la regione, ma anche per l’Europa.

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