Unione Europea in ferie

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C’è qualcosa di inquietante nell’assenza di iniziative dell’Unione Europea in una stagione come questa, calda non tanto per il meteo quanto per i gravi problemi che pesano sul nostro continente, per il persistere se non addirittura l’aggravarsi della crisi economica e sociale al suo interno e per le crescenti minacce alla pace alle sue frontiere.

I Capi di Stato e di governo si erano lasciati, dopo l’ultimo Consiglio europeo a Bruxelles di metà luglio, ridandosi appuntamento a fine agosto per cercare una soluzione al completamento dei vertici delle Istituzioni comunitarie, dove restano in palio poltrone importanti come quella di Alto Rappresentante per la politica estera, del presidente dell’eurogruppo, dei portafogli economici della Commissione europea e del presidente stabile del presidente del Consiglio UE.

Allora il rinvio lasciò perplessi molti: oggi, dopo quanto accaduto nel frattempo, quella perplessità si è trasformata in sconcerto e si alzano le voci di quanti implorano l’UE di guardare quanto accade alle sue frontiere, ricordarsi di esistere e onorare il Nobel per la pace ricevuto appena due anni fa.

Tra le molte cose tragiche che stanno accadendo sui bordi dell’UE basta ricordarne tre o quattro: l’abbattimento di un aereo civile nei cieli d’Europa con 300 vittime, il massacro di civili nella striscia di Gaza, dove i morti hanno superato il migliaio, e gli attacchi di Hamas contro Israele, la strage continua di profughi nel Mediterraneo e, per fare buon peso, l’avanzata di un delirante Califfato a partire dall’Iraq e le persecuzioni religiose a Mossul. Tutti temi sui quali è stata costante l’informazione su queste pagine, accompagnandola adesso con una riflessione sull’assenza della voce dell’UE.

Le Istituzioni europee sono confrontate ad una transizione lenta, come da sempre accade a questa Europa –  tartaruga, ancora più lenta adesso che siamo in 28 Paesi con interessi divergenti, resi anche più difficili da comporre con l’aggravamento della crisi e la conseguente caduta di solidarietà. Gli occhi di tutti oggi si appuntano su un’introvabile politica estera e l’impalpabile ruolo del cosiddetto Alto Rappresentante. Proprio quello rivendicato dall’Italia con una mossa a dir poco azzardata da parte di Renzi, entrato in partita a gamba tesa, rendendo difficile una conclusione soddisfacente alla fine di agosto, quando non è da escludere che saranno aumentati i morti ammazzati o annegati.

Sulla vicenda del responsabile della politica estera europea – ammesso ma non concesso che ne esista una e una sola – il discorso è complesso. Oggi le relazioni internazionali prendono forme diverse ma anche complementari. In assenza di una cessione di sovranità – supposto che gli Stati nazionali ne siano ancora dotati – si sviluppano per l’UE azioni di parziale politica estera attraverso lo strumento degli allargamenti, sospesi per almeno cinque anni, la politica commerciale oggi concentrata sul cantiere del Trattato UE – USA, quella dell’energia segnata dai nostri rapporti con la Russia e i Paesi mediterranei e mediorientali, le politiche di partenariato e la politica di cooperazione allo sviluppo, fragile argine all’esplosione dei flussi migratori in assenza di una politica comune dell’immigrazione.

Su ognuno di questi fronti dovrebbe svilupparsi coerentemente una politica estera che consenta all’UE di parlare a una sola voce, nel concerto stonato dei Paesi che contano e delle Istituzioni internazionali che contano sempre di meno. Per fare questo sono necessari profili forti di uomini e donne che collaborino tra di loro e mettano a frutto le loro esperienze, senza improvvisare e senza lasciarsi tentare da esigenze di visibilità. La nascitura politica estera dell’UE non ha bisogno di icone o di tweet: sarà necessaria una lunga pazienza, come è accaduto per tutte le politiche dell’UE. A patto di avere ben chiaro che pazienza non è sinonimo di rinvio.

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