Vigilia di elezioni europee

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Accadono cose importanti in Europa in questa vigilia di elezioni europee. Lasciatasi alle spalle, almeno provvisoriamente, la paura per la crisi Ucraina, l’Europa ha qualche fremito che sembra annunciare un timido risveglio dopo anni di coma politico ed economico.

Con Kiev l’UE ha sottoscritto un primo capitolo politico di partenariato, accompagnandolo con consistenti misure di sostegno economico, insieme con gli Stati Uniti e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e questo mantenendo aperta una porta al dialogo con la Russia consapevole del suo possibile ruolo nell’area mediorientale. Con la Turchia, reduce da misure censorie verso i social network ma anche da un successo di Erdogan e delle sue politiche islamizzatrici, l’Europa ha preso qualche distanza, senza tuttavia sospendere i negoziati in vista di una futura difficile adesione all’UE. Anche sull’Africa, continente da tutti dimenticato, ha riaperto una finestra in vista di una ripresa della cooperazione con i Governi che ancora ci credono.

Dal versante finanziario ed economico arriva qualche segnale positivo. In attesa che le grandi banche europee reagiscano – si spera positivamente – agli “stress test” e possa essere avviata una prima fase di unione bancaria con la sorveglianza della Banca centrale europea (BCE), prosegue il cammino di risanamento dei bilanci pubblici, che vedono ancora in difficoltà Francia e Italia. La prima per il rientro dal deficit e l’Italia per la riduzione del debito: verso entrambi i Paesi la Commissione europea si mostra severa di fronte alla richiesta di prolungare le scadenze convenute. Un rifiuto che ha fatto vagheggiare frettolosamente a qualcuno la nascita di un avvio di asse franco-italiano al posto dello storico asse franco-tedesco. Viene in mente l’immagine del cieco e dello zoppo, destinati entrambi a finire nel fosso. Ne è consapevole Matteo Renzi, alla ricerca di alleanze a geometria variabile: con Parigi certo, ma più ancora con Berlino e, perché no, con Londra.

Nel suo recente incontro con David Cameron il nostro presidente del Consiglio ha incassato simpatia e apprezzamento, dal suo predecessore Tony Blair consigli e sorrisi, ma tra l’Italia e la Gran Bretagna molte sono le differenze, politiche, finanziarie e sociali, senza contare che al di là della Manica ci si muove senza i vincoli dell’euro e senza la minaccia del “fiscal pact”. Improbabile, oltre che suicida, che Renzi  ci faccia tornare a Berlusconi e ai suoi “giri di valzer” con la Gran Bretagna, che hanno ridato fiato all’immagine di un’Italia “ballerina” nelle sue alleanze internazionali.

Buone notizie vengono anche dalla progressiva riduzione dello “spread” che riduce per l’Italia l’alto costo del debito per interessi, oggi di quasi 80 miliardi all’anno.

Ma purtroppo le buone notizie finiscono qui. Pesa sull’economia europea lo spettro della deflazione, una riduzione dei prezzi, solo in apparenza positiva, ma che si porta dietro la stagnazione dell’economia, spingendo i consumatori a rinviare i loro consumi in attesa di tempi migliori che rischiano di non arrivare. Di qui le recenti dichiarazioni del presidente della BCE Draghi, pronto a interventi straordinari – si parla di una liquidità aggiuntiva di mille miliardi di euro – per l’acquisto di titoli pubblici e di obbligazioni di aziende. Se questo dovesse avvenire, la BCE accrescerebbe il suo ruolo nell’economia, avvicinandosi a quello della Federal Reserve americana, sempre Germania permettendo.

Più inquietante di tutto – “sconcertante”, l’ha chiamata Renzi – la crescita della disoccupazione in Italia e il suo troppo lento rientro in Europa dove supera tassi a due cifre, attorno al 12%, in Italia al 13% e al 43% quella giovanile. Per non parlare del rischio povertà che colpisce in Europa un cittadino su quattro, senza che vi siano segnali di riduzione, come prevedeva la Strategia di Lisbona 2020. Segnali che l’uscita dalla recessione è ancora lontana, diversamente che per la Borsa e alcuni Paesi, come la Germania. E finchè quelle percentuali di disoccupazione e povertà non si ridurranno, parlare di fine della recessione sa di impostura.

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